Di recente ha trovato la strada dell’approvazione definitiva nelle aule parlamentari, sia pure con successive importanti ‘osservazioni’ piuttosto negative da parte del Capo dello Stato (in particolare sul tema delle concessioni balneari), il famoso decreto Milleproroghe.
Come suggerisce il nome, si tratta di una legge, ‘tradizionale’ come poche altre nel nostro Paese, che proroga una lunghissima serie di provvedimenti e scadenze e diciamo che, se non si provvedesse in questo senso, le conseguenze potrebbero essere molto serie e pesanti per i più vari settori, dato che per tanti problemi in Italia non si trovano soluzioni definitive ma si ricorre spesso e volentieri a molto più semplici rinvii.
All’interno del Milleproroghe – una legge che già è di ‘dimensioni’ quanto mai corpose e affronta una vera quantità di materie – si rischia poi di trovarci un po’ di tutto e in Parlamento è tradizione provare a infilarci, come nella Legge di Bilancio, norme fra le più eterogenee e svariate; di qui una delle critiche espresse dal Presidente Mattarella.
Questa lunga premessa serve a inquadrare il tema che mi ha incuriosito, ovvero vedere cosa contiene questo Milleproroghe 2023 in tema di media, Radio e Tv. La materia è affrontata, in particolare nell’articolo 12 del provvedimento.
Cominciamo dicendo che nel testo finale è stato inserito, dopo l’approvazione in Parlamento di uno specifico emendamento, il comma 5-bis dell’articolo 12, che prevede lo stanziamento di due milioni di euro a favore di Radio Radicale, con specifica destinazione al suo ricchissimo archivio storico, un punto di riferimento obbligato soprattutto per il mondo politico, parlamentare e legislativo e per quello delle istituzioni in generale.
Nel testo del Milleproroghe però Radio Radicale non viene nominata. Il comma 5-bis prevede invece che “il contributo di cui all’articolo 30-quater, comma 2, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, è riconosciuto, alle condizioni e con le modalità ivi previste, nel limite di spesa di 2 milioni di euro per l’anno 2023”.
Ai relativi oneri si provvede “a valere sulle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”, “di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, nell’ambito della quota destinata agli interventi di competenza della Presidenza del Consiglio dei ministri”.
Va chiarito che la diffusione dei servizi parlamentari, confermata per Radio Radicale (con relativi oneri pubblici) per il 2023 dall’ultima Legge di Bilancio, stavolta non c’entra. L’oscuro linguaggio legislativo fa invece riferimento, come riportato, a una Legge del 2019 (primo Governo Conte) che al citato articolo 30 quater prevedeva appunto ‘Interventi a favore di imprese private nel settore radiofonico’.
Al comma 2, in particolare, si specificava che “al fine di favorire la conversione in digitale e la conservazione degli archivi multimediali delle imprese di cui al comma 1 (si tratta delle “imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 230”; N.d.R.), la Presidenza del Consiglio dei ministri corrisponde alle citate imprese un contributo di 3 milioni di euro per l’anno 2019”.
Tre milioni nel 2019 e adesso due milioni che vanno dunque a Radio Radicale, pur non specificamente citata.
Ma torniamo all’articolo 12 del Milleproroghe. Al comma 2 c’è un rinvio importante di cui si è parlato assai poco, quello del contratto di servizio Stato-Rai, adempimento di tutto rilievo purtroppo ignoto ai più. Il testo ‘recita’ quanto segue:
“Al fine di consentire il rispetto del termine stabilito dall’articolo 5, comma 6, della legge 28 dicembre 2015, n. 220, nonché il pieno esercizio delle competenze della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, il termine di scadenza del contratto di servizio vigente tra il Ministero delle imprese e del made in Italy e la RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a. è differito al 30 settembre 2023”.
Perché poi un rinvio infinito, che dura tuttora, ci sia stato in sede parlamentare per costituire, a tanti mesi dalle elezioni, questa benedetta Commissione di Vigilanza sulla Rai, è uno dei misteri di questo inizio di Legislatura.
Resta da dire che il rinvio (stavolta di alcuni mesi) del contratto di servizio, che specifica ‘i doveri’ che la Rai si assume in rapporto (sostanzialmente) all’esistenza del canone e all’affidamento del famoso ‘servizio pubblico radiotelevisivo’, è solo l’ultimo di una nutrita serie storica, mentre, altresì, non di rado succede che gli impegni previsti dallo stesso contratto non vengano poi effettivamente realizzati nella pratica.
Ma passiamo all’ultima norma prevista dal Milleproroghe, anche stavolta in tema di radiofonia. Al comma 5 dell’articolo 12 si legge questo:
“Al fine di dare attuazione all’Accordo tra l’Italia e la Santa Sede in materia di radiodiffusione televisiva e sonora del 14 e 15 giugno 2010, il Ministero delle imprese e del made in Italy predispone entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto una procedura di gara con offerte economiche al ribasso per selezionare un operatore di rete titolare di diritto d’uso radiofonico nazionale in tecnica DAB che renda disponibile, senza oneri, per la Città del Vaticano, per un periodo pari alla durata dell’Accordo, la capacità trasmissiva di un modulo da almeno 36 unità di capacità trasmissiva su un multiplex DAB con copertura nazionale”.
Gli interessati si facciano avanti, dunque, anche perché alle spese ci dovrebbe pensare lo Stato. Al comma 6 si spiega infatti che “al fine di rimborsare gli importi di aggiudicazione corrisposti dall’operatore di rete che renda disponibile senza oneri per la Città del Vaticano per un periodo pari alla durata dell’Accordo la capacità trasmissiva ai sensi del comma 5, è autorizzata la spesa di 338.000 euro annui a decorrere dall’anno 2023”.
Mauro Roffi
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