Universal Music crolla in borsa, streaming musicale in rallentamento. Un buon segnale per il mondo della radio?

Universal Music crolla in borsa a fine luglio. Motivo: un trend globale di rallentamento nella crescita delle piattaforme di streaming, quelle che alcuni ritengono le vere concorrenti del mondo della radio.

La fine dell’età dell’oro dello streaming musicale?

Cominciamo dalla notizia: Universal Music Group (UMG), la casa discografica olandese che rappresenta artisti di primo piano come Taylor Swift, Drake, Justin Bieber, Billie Elish e Adele, ha subìto un forte calo in Borsa giovedì 25 luglio, con le azioni che hanno chiuso in ribasso del 23%. Senza riprendersi nei giorni successivi. Questo crollo è seguito alla pubblicazione di risultati deludenti per le attività di streaming.

 

I ricavi dello streaming sono infatti diminuiti del 3,9% nel secondo trimestre, un netto peggioramento rispetto alla crescita del 10,3% registrata nel primo trimestre. L’azienda ha attribuito questo calo a una decelerazione della crescita presso i principali piattaforme partner, inclusi i piani basati su pubblicità.

L’ammissione che ha fatto tremare il mercato nella call con gli analisti:  “La crescita dello streaming musicale sta rallentando“.

Oltre lo streaming: alla ricerca di nuove melodie

Le major discografiche si trovano di fronte a una sfida imprevista. Dopo anni di crescita esplosiva guidata dallo streaming, il settore deve reinventarsi. Le etichette stanno esplorando nuovi territori: dal merchandising ai concerti virtuali, passando per esperienze musicali in realtà aumentata. E ovviamente per le piattaforme social.

La battaglia dei prezzi

Purtroppo Spotify, Apple Music e gli altri giganti dello streaming dispongono del potere contrattuale: hanno disintermediato il cliente (che acquista ormai pochi supporti direttamente dalle label)  e ora possono decidere quasi in autonomia la politica dei prezzi.

Una major discografica potrebbe in teoria ritirare la sua musica dai servizi di streaming per forzare la situazione. Ma c’è qualche etichetta pronta a rinunciare a miliardi di dollari di entrate? Universal ha già provato a dichiarare guerra a TikTok – un’azienda da cui guadagna molto poco – e ha perso.

Il mondo delle radio

Le label potrebbero forse cercare di compensare la perdita di potere rispetto alle piattaforme investendo maggiormente sul mondo delle radio, che vede attori di dimensioni paragonabili in termini di fatturato (e spesso più piccoli). I meno giovani ricordano ad esempio l’epoca in cui intere trasmissioni di importanti radio paneuropee erano sponsorizzati da una singola etichetta, giusto per fare un esempio.

Ma i segnali USA non sembrano confortanti. Poche settimane fa Radioink titolavala share dei dollari spesi in radio diminuisce, mentre la spesa globale aumenta“.

In un recente articolo Newslinet riportava che “la Radio di flusso mantiene una quota del 4,1% in Italia (400 milioni di euro, +6,0% nel 2023)“, ma a ben guardare il grafico associato il trend non appare certo esaltante. Né pare che il settore podcasting possa cambiare le cose.

Conclusioni

Segnali contrastanti dunque. Ma secondo numerosi analisti una cosa resta certa: il trend che vede le grandi piattaforme crescere di importanza e di fatturato a discapito degli altri operatori non è destinato a rallentare.

La raccomandazione resta l solita: non cedere mai a terzi il rapporto diretto con il cliente-ascoltatore: utilizzare Reel e “TikTok”, certo, ma evitare di basare tutto su quanto raccomandano i “social media manager”. (Marco H. Barsotti per FM-world)