Il Gr1 in diretta dall’Ucraina ad un anno dall’inizio del conflitto

Venerdì 24 febbraio ricorre un anno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Per raccontare quanto accaduto in questi dodici mesi e descrivere la situazione oggi, le edizioni del Gr1 delle 8, delle 13 e delle 19 di questa giornata andranno in onda da Kiev e da Bucha.

Lo riporta un comunicato Rai.

Al microfono ci saranno Giovanni Acquarulo che conduce, l’inviata Azzurra Meringolo e accanto a loro Andrea Vianello direttore di Rai Radio1 e dei Giornali Radio, con l’assistenza tecnica di Massimiliano Savino e Massimo Vasciaveo.

Nel corso della giornata, diversi programmi dell’emittente dedicheranno spazio al conflitto, con appuntamenti speciali.

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Le licenze dei media dell’oligarca Akhmetov vanno allo Stato ucraino

C’è un risvolto mediatico di tutto rilievo nell’ambito della vicenda della guerra nata, ormai diversi mesi fa, dall’aggressione della Russia all’Ucraina. Si tratta delle sorti dell’impero dei media di un notissimo oligarca ucraino, Rinat Akhmetov, proprietario di molte Tv, di carta stampata, siti internet e altro ancora, che ora – come è stato spiegato nei giorni scorsi – restituirà allo Stato le licenze di trasmissione dei canali televisivi, aprendo a un inizio di riforma del settore, auspicato anche in sede europea (in vista della possibile adesione dell’Ucraina alla UE).

Può sembrare poco ‘democratica’, in realtà, una ‘statalizzazione’ dei media televisivi ma diciamo che in questo fondamentale campo (e in quello degli altri media, compresa la Radio) l’operato degli oligarchi (dalle caratteristiche simili a quelli che agivano indisturbati in Russia fino a qualche tempo fa) non era certo un esempio di ‘pluralismo’, di trasparenza e di vera ‘libertà d’informazione’. Per un presidente come Zelensky, che deve tanto al mondo televisivo e lo conosce dunque assai bene, attuare una riforma che apra anche i media a una ‘dimensione europea’ è pertanto un’altra sfida da vincere a tutti i costi.

I potenti oligarchi ucraini dei media in particolare, secondo notizie diffuse in rete, erano Viktor Pinchuk, Ihor Kolomoyskyi, Dmytro Firtash e appunto Rinat Akhmetov, cui facevano capo 4 gruppi principali della Tv e dei media: StarLight Media, 1+1 Media, Inter Media e Media Group Ukraine. Nel settore radiofonico i favori del pubblico andavano invece ad altri quattro gruppi: Tavr Radio Group, Ukraine Media Holding, Business Radio Group e TRK Lux.

La novità ora riguarda proprio Akhmetov (noto anche nel mondo del calcio), 55 anni, che, come nota Paolo Brera su ‘Repubblica’, “è il primo ad assecondare la legge varata a settembre per ‘deoligarchizzare’ l’Ucraina: per farlo ha deciso di rinunciare al suo impero nei media regalandone le chiavi allo Stato”.

La legge in questione assegna al Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa il potere di redigere, ai fini di una vendita entro breve dei loro media, un registro degli oligarchi: “Ci sarebbero finiti i nomi di tutti coloro che possedessero almeno tre di queste quattro categorie: essere un magnate dei media, partecipare alla vita politica, detenere un monopolio e avere un reddito un milione di volte più elevato del costo minimo della vita, cioè 77 milioni di euro. Su uno solo dei quattro criteri Akhmetov poteva provare a dirsi estraneo: la politica attiva. Ha sempre giocato dietro le quinte, attento a non farsi incastrare: e le sue Tv, i suoi giornali, non erano teneri affatto con Zelensky, che arrivò ad accusarlo di ordire un colpo di stato contro di lui sponsorizzato da Mosca”.

Ora il colpo di scena, annunciato dallo stesso Akhmetov: “Media Group Ukraine rinuncerà a tutte le licenze Tv, satellitari e della carta stampata in Ucraina a favore dello Stato. Spegneremo anche i media online dell’Università statale di Mosca”.

Una decisione ‘forzata’ dalla legge citata, ha spiegato Akhmetov, ma alla fine accettata, nonostante lui non si ritenga un oligarca: “Come maggior investitore privato nell’economia ucraina, non ero, non sono e non sarò un oligarca”.

Brera continua a spiegarci: “Akhmetov è uomo accorto, un vero equilibrista tra i mondi, tra Kiev e Mosca e non solo. È un tataro, musulmano praticante, e fu il grande sponsor dell’allora presidente Yanukovic, il leale alleato di Putin. È il signore supremo della siderurgia ucraina, il padre del carbone e delle nuove energie; è il dominus del Donbass, il proprietario di quello che resta (cioè praticamente nulla) dell’Azovstal di Mariupol. È il proprietario dello Shakhtar Donetsk e fino a ieri era il re dei media ucraini: ‘Il breve termine di sei mesi fissato dalla legge per la vendita e l’aggressione militare russa contro l’Ucraina non consentono di vendere a condizioni di mercato’, dice. Per questo li cede allo Stato”.

La media holding è composta da 10 canali televisivi e satellitari, siti Internet, carta stampata e una moderna produzione mediatica. L’importo degli investimenti ha superato 1,5 miliardi di dollari, all’opera in questi media ci sono 4.000 giornalisti e dipendenti (mentre nell’intero gruppo di Akhmetov si arriverebbe a ben 200.000 dipendenti!).

È seguita un’importante precisazione: Akhmetov non trasferirà i suoi media in quanto tali allo Stato, ma restituirà solo le licenze di trasmissione e lo Stato deciderà cosa farne. Resta dunque qualche dubbio su cosa accadrà realmente. Ma una prima svolta sicuramente c’è.

La cessione delle licenze allo Sato riguarda, in particolare, fra le reti più seguite, Ukraina, Ukraina 24 e Futbol.

Mauro Roffi
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L’Eurovision Song Contest 2023 non sarà in Ucraina. Ma gli ucraini protestano

Sono passate solo alcune settimane dalla trionfale finale di Torino dell’Eurovision Song Contest 2022 ma già si parla della prossima edizione, che a rigor di logica (e di regolamento), dovrebbe svolgersi in Ucraina. Ci sono però molti dubbi che ciò possa davvero accadere e tantomeno che la manifestazione – come era stato prospettato in modo ‘romantico’ ma anche un po’ scaramantico, per così dire – possa avere luogo a Mariupol, come pure qualcuno aveva sognato.

La dura realtà del conflitto in atto, per chissà quanto tempo ancora, e l’esigenza di iniziare a predisporre le prime mosse per l’edizione 2023 (non è poi così presto, come si può pensare) impongono, almeno al momento, di mettere da parte i sogni e scendere un po’ sul terreno pratico. O almeno questo è quel che pensa l’Ebu-Uer, che – lo ricordiamo – organizza per la gran parte questa prestigiosa manifestazione musicale e televisiva.

Ecco così che nelle ultime ore se ne sono sentire parecchie sul tema. Proprio l’Ebu venerdì ha fatto sapere che l’Eurovision Song Contest 2023 non si svolgerà in Ucraina. La decisione è legata alle “circostanze attuali” della guerra in corso e alla mancanza delle necessarie garanzie di sicurezza.

“L’Eurovision Song Contest è una delle produzioni televisive più complesse al mondo con migliaia di persone che lavorano e partecipano all’evento e dodici mesi di tempo di preparazione necessari – ha spiegato l’Ebu – . Il consiglio di amministrazione del concorso ha stabilito che le garanzie di sicurezza e operative richieste a un’emittente per ospitare, organizzare e produrre l’Eurovision Song Contest ai sensi delle regole Esc non possono essere soddisfatte da UA:PBC”, ovvero l’emittente pubblica, anche a carattere internazionale, dell’Ucraina.

Ricordiamo che la Rai, dopo l’ottimo esito dell’edizione di Torino, da una parte aveva dato la disponibilità ad ospitare ancora (eventualmente) l’evento ma soprattutto si era offerta di aiutare Kiev (l’Ucraina peraltro ha già ospitato la manifestazione non molti anni fa) a organizzarsi per essere in grado di allestire sul serio l’edizione 2023.

Ma l’annuncio dell’Ebu, che francamente appare più realistico di questi auspici, ha gelato un po’ tutti, tanto più che sembrava di capire che a organizzare l’Eurovision Song Contest 2023 poteva essere (invece) il Regno Unito, la cui canzone era arrivata a Torino seconda, ma solo dopo il plebiscitario esito del televoto a favore dell’Ucraina.

Le mosse dell’EBU devono essere state però un po’ premature e così subito sono fioccate le polemiche.

L’Ucraina, punta sull’orgoglio, ha infatti fatto sapere di non essere d’accordo con la valutazione dell’Ebu e di voler chiedere una revisione della decisione presa di escluderla dall’organizzazione della prossima edizione. In specifico, il ministro della Cultura e dell’Informazione ucraino Oleksandr Tkachenko ha dichiarato che Kiev “crede di avere motivi per condurre ulteriori discussioni sulla ricerca di una soluzione che soddisfi tutti” e di ritenere “di poter rispettare tutti gli impegni”.

Se Gran Bretagna doveva poi essere nel 2023, il primo ministro inglese (pur un po’ in bilico) Boris Johnson, nell’ambito dell’ulteriore recentissima visita in Ucraina, ha detto che l’Eurovision Song Contest a suo parere può invece svolgersi ancora nel Paese invaso dai russi.

Insomma, si prenderà un altro po’ di tempo per ulteriori approfondimenti. Ma il tempo a disposizione non è molto e mano a mano il ‘sogno ucraino’ di riuscire a ‘fare il miracolo’ nel 2023 rischia di diventare un’aspirazione piuttosto velleitaria e irrealistica.

Mauro Roffi
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Eurovision Song Festival: vince l’Ucraina

La Kalush Orchestra con “Stefania” ha vinto l’edizione 2022 dell’Eurovision Song Festival.

Il successo della band ucraina è arrivato grazie al voto del pubblico.

Le giurie dei 40 Paesi partecipanti avevano eletto il britannico Sam Ryder con “Space Man”, che chiude al secondo posto.

L’Eurovision Song Festival 2022 ha ottenuto un grande successo di pubblico, con importanti riscontri sui social network.

Ora resta l’attesa dei dati Auditel, ma soprattutto del seguito che i brani proposti avranno in radio.

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Radio Kraina Fm diventa l’emittente della Resistenza ucraina

La tragica morte di Vera Girich, giornalista ucraina di Radio Svoboda (che fa parte del gruppo Radio Free Europe/Radio Liberty), nell’attacco missilistico lanciato dai russi nei giorni scorsi a Kiev, è solo l’ennesimo episodio di una guerra che coinvolge purtroppo da vicino il mondo dell’informazione, chiamato a ‘raccontare dal vivo’ questo conflitto come mai prima.

Vera, anche se colpita probabilmente casualmente mentre era nel suo appartamento (e non per ragioni legate al suo lavoro), è infatti solo l’ultima di una lunga catena di giornalisti morti in Ucraina in queste settimane. Aveva solo 55 anni e lavorava per il network di giornalismo investigativo dal febbraio del 2018, anche se aveva una lunga carriera alle spalle quale giornalista televisiva ucraina.

Questa volta però, citato questo ennesimo lutto, voglio concentrare l’attenzione su un lungo recente articolo di ‘Repubblica’, a firma di Livia Ermini, che parla in dettaglio di Radio Kraina Fm o meglio di Radio Nazionale Resistenza Ucraina, nuovo nome di questa seguita emittente del Paese invaso dai russi.

Intanto questa Radio ora trasmette non più da Kiev ma da una località segreta dei Carpazi e i conduttori Bogdan Bolkhovetsky e Roman Davydov hanno scelto di ‘aiutare il loro Paese a tenere alto lo spirito’ e di porsi ‘al servizio della nazione’. Spiega Livia Ermini:

“Fedeli a un lavoro che da anni li vedeva impegnati tra programmi rock e quiz di canzoni, Bogdan Bolkhovetsky e Roman Davydov hanno trovato un modo per servire l’Ucraina senza dover per forza imbracciare un fucile. Hanno trasformato Radio Kraina Fm, una delle più diffuse emittenti commerciali del Paese, in una stazione di servizio. Ogni giorno trasmettono bollettini di guerra e aggiornamenti sui profughi. All’inizio parlavano solo dell’avanzata russa, ma poi hanno iniziato a fare annunci per reperire risorse e aiuti umanitari, a trasmettere favole per bambini e consigli dello psicologo per aiutare i più piccoli. Hanno persino ripreso il tono ludico e scanzonato di sempre: fanno umorismo sui russi e declamano poesie patriottiche”.

Il nuovo nome (magari provvisorio, si spera) dell’emittente, come si diceva, è Radio Resistenza Nazionale Ucraina e l’ispirazione sembra essere quella di Robin Williams con il suo memorabile ‘Good Morning Vietnam’.

L’articolo di ‘Repubblica’ entra davvero nei particolari:

“In fuga nei primi giorni dopo l’attacco russo, Bolkhovetsky e Davydov, rispettivamente ceo e direttore dei programmi della stazione di Kiev, stavano trasferendo le famiglie dalla capitale, dove risiedono, oltre il confine polacco. Bloccati dall’esercito che notificava loro l’impossibilità di lasciare il Paese per la legge marziale che impone agli uomini di arruolarsi, hanno ‘contrattato’ di potersi rendere utili alla causa continuando il loro lavoro di informazione”.

Di qui il trasferimento in un piccolo paese sul lato ucraino dei Carpazi (il nome non viene rivelato, naturalmente per ragioni di sicurezza), dove hanno attrezzato una stazione di fortuna. Racconta Bogdan: “Avevamo con noi due microfoni e poi, grazie agli amici di una Radio partner di Vienna, abbiamo ricevuto un mixer e due computer, con cui riusciamo a trasmettere”.

Dalla Radio ‘originaria’ (Radio Kraina Fm) erano andati via quasi tutti in quei giorni ma un eventuale ritorno a Kiev anche adesso non sembra proponibile: “La Radio non è come un negozio che lo chiudi e vai via, devi continuare a trasmettere. Dunque restiamo qui”.

I problemi nei Carpazi non mancano: i bombardamenti ci sono anche qui, mentre la connessione internet è pessima e si deve usare il telefono. Ma si va avanti, come spiega Roman: “Abbiamo molte richieste da parte dell’esercito e fondamentalmente trasmettiamo annunci di ciò che serve. Come tutti in Ucraina, cerchiamo di dare un supporto”.

Ma soprattutto si vuol sostenere il morale della popolazione: Sempre secondo Bogdan, “la nostra voce riesce ad arrivare nei rifugi. Trasmettiamo musica e la gente, per vincere la paura, canta con la Radio durante gli allarmi aerei o i bombardamenti”.

D’altra parte, Radio Kraina Fm non era certo, come detto, un’emittente di poco conto: “Trasmettevamo in 28 città del Paese, ora sono rimaste 24. Certo, non arriviamo più a Mariupol. Ma speriamo di riportare anche lì presto la nostra voce”.

Mauro Roffi
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“Tocca a noi”: concerto per la pace su Rai3 e Rai Radio2

Tutto nasce da un appello de La Rappresentante di Lista che, pochi giorni dopo l’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina, hanno coinvolto diversi protagonisti della musica per sostenere la popolazione colpita dal conflitto.

E a rispondere sono stati in tanti: da Gianni Morandi ad Elisa, da Elodie a Noemi, da Diodato a Brunori Sas, da Gaia a Paolo Benvegnù.

Si chiama ‘Tocca a noi-Musica per la pace’ ed è un concerto che si terrà martedì 5 aprile in piazza Maggiore a Bologna.

La maratona di musica e spettacolo andrà a sostegno di Save the Children per aiutare i bambini colpiti dalla guerra in Ucraina.

La serata sarà presentata da Andrea Delogu con la partecipazione di Ema Stokholma, Marco Baliani e Daniele Piervicincenzi.

L’evento sarà trasmesso in differita – il 7 aprile – in prima serata su Rai3 e su Rai Radio2.

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