In Gazzetta Ufficiale il nuovo Testo Unico dei media audiovisivi

È destino di questa importante legge entrare in scena in momenti particolari dell’anno. Infatti il nuovo Testo Unico “per la fornitura di servizi di media audiovisivi” (la sigla sarebbe ora Tusma e non la più conosciuta Tusmar, che evidenziava in specifico anche i media radiofonici), che è stato varato dal Governo l’8 novembre scorso, dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri pochi giorni prima, è stato pubblicato il 10 dicembre, dopo lunga attesa, sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore nientemeno che il 25 dicembre, il giorno di Natale. Si tratta, sul piano tecnico dell’attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 su questi temi, ma le numerose novità inserite in questa ‘legge quadro’ del sistema audiovisivo sono tali da farne tutt’altro che un semplice ‘adeguamento tecnico’ dei testi preesistenti.

Ma non è tutto: il testo preliminare del Governo, poi sottoposto all’esame del Parlamento e di altri organismi, era uscito all’inizio di agosto, in pieno periodo di ferie, e molto scarso era stato il rilievo anche sui giornali (l’avevano invece ‘notato molto’ i colleghi di Newslinet.com). L’iter è poi stato lungo e tutto si è un po’ perso nelle nebbie, anche per le diverse settimane trascorse fra l’approvazione in Cdm e l’effettiva pubblicazione in GU.

Sembra comunque incredibile come un testo di questo rilievo (su questi temi in passato, anche se diversi anni fa, ci sono state anche crisi di Governo) sia stato dibattuto ben poco e sia stato varato nella sostanziale indifferenza generale. Fanno eccezione – è giusto sottolinearlo – non solo i colleghi di Newslinet ma anche quelli di Key4biz, che, in particolare ad opera di Angelo Zaccone Teodosi e Giacomo Mazzone (ma non solo loro), ha svolto accurate analisi del provvedimento in questione, peraltro lavorando a lungo su un ‘testo preliminare’ su cui mancavano finora ‘conferme ufficiali’.

Ciò detto, va specificato, come già avevo sottolineato in un precedente articolo, che la legge si occupa di temi di grande rilievo, stabilendo per esempio nuove norme sugli affollamenti pubblicitari Tv che sembrano penalizzare non poco la Rai (che però non ha commentato, o quasi, la questione) sul piano finanziario e concedono invece qualche libertà in più ai privati. Sullo sfondo c’è anche la possibile (se non probabile) eliminazione della presenza del canone Rai nelle bollette elettriche, pare dal 2023.

Senza andare avanti in dettagliate analisi che non sono prerogativa di questo sito, specializzato in radiofonia, dirò poi che nel nuovo Testo Unico saltano, o quasi, i meccanismi pressochè automatici collegati al famoso SIC (oggetto di tante discussioni in passato) per ciò che riguarda gli interventi dell’Agcom, concretizzatesi in specifico nel caso Vivendi-Mediaset e poi ‘contestati’ (appunto come ‘meccanismi automatici di intervento’) nel settembre 2020 dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Il nuovo testo è più ‘sfumato’ sul tema e l’Agcom dovrà fare in questi casi istruttorie specifiche.

C’è poi un lungo capitolo, oggetto di molte discussioni, sul tema degli obblighi di investimento delle grandi piattaforme Tv (soprattutto estere) in opere audiovisive europee e i vincoli sono stati in effetti attenuati rispetto alle prime versioni del provvedimento, con relative proteste.

Ma veniamo ai temi più strettamente radiofonici.

Come nelle attese, all’ Art. 3, comma 1, lettera cc), il provvedimento definisce ambito locale radiofonico “l’esercizio dell’attività di radiodiffusione sonora, con irradiazione del segnale fino a una copertura massima del 50 per cento della popolazione nazionale”. È una novità, preannunciata, che amplia non poco le possibilità di diffusione delle Radio locali e le equipara a quanto previsto per il settore televisivo. Tuttavia la nuova norma si applicherà solo “dalla data improrogabile del 1° gennaio 2023, onde favorire l’adeguamento all’evoluzione tecnologica e di mercato”.

Resta poi la distinzione netta fra Radio locali e nazionali, anche in digitale. Infatti c’è (art. 5, comma 1, lettera d) “la previsione di titoli distinti per lo svolgimento delle attività di fornitura di cui alla lettera b), rispettivamente in ambito nazionale e in ambito locale, quando le stesse sono esercitate su frequenze terrestri, stabilendo, comunque, che uno stesso soggetto o soggetti tra di loro in rapporto di controllo o di collegamento non possono essere, contemporaneamente, titolari di autorizzazione per fornitore di servizi media radiofonici digitali in ambito nazionale e in ambito locale”.

I colleghi di Newslinet (che hanno iniziato un esame dettagliato del nuovo Tusma) notano poi come si sia ‘persa per strada’ la recente norma legislativa che consentiva, “in caso di trasferimento di concessione per emittente di radiodiffusione sonora in ambito nazionale o locale o di trasformazione della forma giuridica del titolare”, che la concessione fosse “convertita in concessione a carattere comunitario o commerciale secondo i requisiti del nuovo titolare”. Insomma, il ‘caso Radiofreccia’ potrebbe non avere repliche in futuro.

Infine, la questione delle questioni. Ci sarà un piano delle frequenze radiofoniche analogiche elaborato dall’Agcom (un problema mai affrontato nel concreto finora, dopo così tanti anni) e poi uno digitale e quali sono i relativi rischi per le emittenti attualmente operanti in Fm?

L’art. 50, comma 10, prevede, in effetti quanto segue: “L’Autorità adotta il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica, tenendo conto del grado di sviluppo della radiodiffusione sonora in tecnica digitale. Nelle more di una effettiva diffusione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e dello sviluppo del relativo mercato, il Ministero, in coordinamento con l’Autorità, può procedere ad attività di ricognizione e progressiva razionalizzazione dell’uso delle risorse frequenziali in tecnica analogica in particolare al fine di eliminare o minimizzare situazioni interferenziali con i paesi radio-elettricamente confinanti, ed incoraggiare l’efficiente uso e gestione delle radiofrequenze, tutelando gli investimenti e promuovendo l’innovazione”.

La formula è generica e non tranquillizza rispetto ai timori diffusi nel settore radiofonico.

Il precedente comma 6, sempre dell’articolo 50, prevede poi che “al fine di escludere interferenze nei confronti di Paesi radioelettricamente confinanti, in ciascuna area di coordinamento definita dagli accordi internazionali sottoscritti dal Ministero e dalle autorità degli Stati radioelettricamente confinanti, sono oggetto di pianificazione esclusivamente le frequenze attribuite all’Italia dagli accordi stessi. Le frequenze non attribuite internazionalmente all’Italia nelle aree di coordinamento definite dagli accordi internazionali di cui al presente comma, non possono essere pianificate dall’Autorità né assegnate dal Ministero. Nella predisposizione dei piani di assegnazione di cui al comma 5 l’Autorità adotta il criterio di utilizzazione efficiente e razionale dello spettro radioelettrico, suddividendo le risorse in relazione alla tipologia del servizio e prevedendo di norma reti isofrequenziali per macroaree di diffusione”.

Qui le questioni sono quanto mai annose e coinvolgono altri Paesi. In particolare Croazia e Slovenia sembrerebbero davvero stanche delle interferenze delle emittenti italiane e decise a risolvere al più presto la questione. Ma come si può risolverla, al momento, se le frequenze cosiddette ‘coordinate’ sono (almeno per adesso) solo quelle Rai? E l’Agcom riuscirà (in quali tempi?) a fare questo complessissimo (e rischioso per le emittenti) piano analogico e poi a pianificare anche l’avvento del Dab? Ci sarà uno swich-off nel settore radiofonico (quasi nessuno al momento sembra volerlo in Italia)? Come? Quando?

Le questioni restano tutte aperte, anche dopo il varo di questo Tusma.

Mauro Roffi
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Tusmar: approvato il nuovo testo

Dopo l’atteso parere di Camera e Senato di cui abbiamo dato notizia nelle scorse settimane, il Governo ha approvato giovedì scorso il recepimento della Direttiva europea sui media audiovisivi (Smav) del 2018, rivedendo dunque definitivamente il testo del Tusmar (il Testo Unico che regolamenta la materia radiotelevisiva). In contemporanea sono stati approvati il recepimento, fra le altre, della direttiva sul copyright e di quella sulle comunicazioni elettroniche.

Senza perdersi nelle sigle e nelle complicazioni a livello legislativo, basterà ricordare che il provvedimento sui media era stato all’origine nel pieno della scorsa estate di una serie di forti polemiche, soprattutto sul tema dei tempi e delle modalità del passaggio della Radio italiana dall’analogico al digitale. Dopo un certo ritardo del parere parlamentare, la questione era comunque diventata piuttosto urgente, perché l’Italia rischiava procedure di infrazione in sede europea, e il Governo non ha quindi perso altro tempo. Hanno seguito la materia, in particolare, il sottosegretario allo Sviluppo Economico Anna Ascani e per alcuni aspetti il ministro della Cultura Dario Franceschini.

Naturalmente tutta l’attesa è sul piano dei contenuti del provvedimento ma al momento ci sono solo indiscrezioni, perché il testo non è ancora uscito sulla Gazzetta Ufficiale. Tuttavia ci sono già stati vari commenti, in particolare sul tema degli obblighi di investimento delle grandi piattaforme Tv (soprattutto estere) in opere audiovisive europee (che sarebbe tuttavia meno forte rispetto alla prima versione).

Confermata, a quanto pare, la diminuzione dell’affollamento pubblicitario Rai e in contemporanea invece un aumento di quello delle Tv private, situazione che potrebbe creare problemi finanziari al servizio pubblico.

Quanto alla Radio, secondo le varie indiscrezioni pubblicate da ‘Il Sole 24 Ore’, ‘Italia Oggi’, ‘Il Manifesto’ (Vincenzo Vita) e key4biz.it (l’attento Angelo Zaccone Teodosi), sarebbe confermato l’ampliamento della possibilità di diffusione territoriale delle Radio locali (ma occorrerà vedere da quale data) e il divieto di avere contemporaneamente Radio locali e nazionali.

Ma appunto sarà necessario verificare il testo per avere informazioni più precise e (necessariamente) ben più dettagliate. Ne riparleremo perciò presto.

Mauro Roffi
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Rai e questioni radiofoniche: il parere del Parlamento sulle modifiche al Tusmar

Il Parlamento ha finalmente dato i pareri previsti (da parte di Camera e Senato) in tema di recepimento della direttiva europea sui media, dopo lo schema di decreto legislativo che modifica il Tusmar (il Testo Unico che regola i media audiovisivi) approvato e trasmesso dal Governo all’inizio di agosto. La questione, ormai diventata piuttosto urgente per le imminenti scadenze in materia, non è tecnica ma di grande importanza, dato che si tratta di modifiche di rilievo alle norme attualmente in vigore; la questione infatti è stata a lungo all’esame del Parlamento, parallelamente a quella del recepimento della famosa disciplina europea sul diritto d’autore (anche su questo tema il Parlamento ha appena concluso i suoi lavori esprimendo il suo parere).

Al Senato si è occupata della materia Tusmar la Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni, alla Camera è toccato alle Commissioni Cultura e Trasporti/Telecomunicazioni. Entrambe hanno espresso parere favorevole al provvedimento del Governo ma con numerose osservazioni (altrettanto hanno fatto nel frattempo altri organismi), che naturalmente avranno una certa importanza rispetto alle decisioni finali governative.

Fra i punti più controversi del provvedimento (che fra l’altro si occupa anche di affollamenti pubblicitari delle Tv private, ampliandoli un po’, e aggiorna la normativa applicata a casi controversi sul tipo di quello Vivendi-Mediaset) c’è una certa riduzione, invece, sempre degli affollamenti pubblicitari della Rai, rendendo la situazione più consona a quella europea. Questa decisione non viene contestata direttamente da Camera e Senato, che però insistono sull’esigenza di non creare ulteriori problemi finanziari a Viale Mazzini, che già vive una situazione difficile su questo piano.

Il Senato raccomanda al Governo di far sì che fino a gennaio 2025 non vi siano riduzioni delle risorse derivanti dal canone alla Rai, mentre la Camera propone di fare ben di più e auspica che il Governo preveda che l’intero gettito derivante dal canone vada alla Rai, fatta salva la quota riservata al Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (cosa che ovviamente dovrebbe tranquillizzare anche le emittenti locali). In sostanza, andrebbe abolita la tassa governativa sul canone stesso, destinando di fatto alcune decine di milioni in più alla Rai.

Sia la Camera che il Senato chiedono poi di alleggerire la materia delle quote obbligatorie di investimento in prodotto europeo e italiano per i ‘colossi’ mondiali dell’audiovisivo e dello streaming e di abolire quelli di programmazione.

Ma quel che interessa di più i lettori di FM-world è sicuramente il tema della Radiofonia, che ha provocato molte polemiche l’estate scorsa. L’impostazione scelta dalle due Camere è ‘liberista’, per così dire. L’idea è che il Governo permetta ad uno stesso editore di essere titolare sia di Radio locali che di emittenti nazionali e che il bacino massimo di diffusione delle Radio locali passi al 50% della popolazione rigorosamente non oltre il 1° gennaio 2023 (anche se passerà intanto più di un anno).

Ci sono poi i timori relativi al passaggio al digitale del mondo radiofonico, ma con preventiva ‘razionalizzazione’ dell’attuale ‘panorama analogico’ delle Radio (molti temono che un piano delle frequenze analogico significhi anche riduzione delle emittenti presenti attualmente in FM). L’approccio proposto soprattutto dal Senato sembra tentare di ‘calmare le acque’ in questo campo.

Si propone infatti al Governo di valutare “l’opportunità di eliminare la previsione di un nuovo tavolo tecnico di confronto che proceda alla valutazione del sistema delle concessioni e autorizzazioni radiofoniche su frequenze terrestri in tecnica analogica e della relativa copertura, che appare superfluo alla luce delle competenze già attribuite al Ministero dello sviluppo economico e all’AGCOM”.

Ma soprattutto si chiede di valutare “l’opportunità di chiarire che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica debba tenere conto dell’esigenza di incoraggiare l’uso efficace e la gestione efficiente delle radiofrequenze, di tutelare i rilevanti investimenti effettuati dalle imprese e di promuovere l’innovazione e debba inoltre garantire la prosecuzione delle diffusioni radiofoniche legittimamente operanti da parte dei concessionari per la radiodiffusione analogica attive alla data di approvazione del piano”. Andrebbe inoltre eliminato “il riferimento all’attività di ricognizione e di progressiva razionalizzazione dell’uso delle risorse frequenziali in tecnica analogica, che appare superflua e indeterminata”.

La parola definitiva su tutto ora spetta (in tempi probabilmente piuttosto brevi) al Governo.

Mauro Roffi
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Riforma del Tusmar e radiofonia: la parola al Parlamento

Non è ancora tranquilla, al momento, l’atmosfera nel settore radiofonico italiano, dopo la tempesta estiva (di cui sono stati protagonisti, in particolare, i colleghi di newslinet.com) e le preoccupazioni relative a nuove disposizioni di legge che potrebbero prevedere (secondo i timori diffusisi nel settore nelle scorse settimane) un non lontano passaggio al digitale anche nel campo radiofonico, con conseguente traumatico prossimo ‘annullamento’ del ‘patrimonio’ costituito dalla presenza nella FM analogica delle emittenti italiane.

Per capire di cosa parliamo, bisogna spiegare che, nella disattenzione di molti per via del periodo di ferie e anche a causa dei pochi preannunci da parte ministeriale, sono state approvate all’inizio di agosto da parte del Governo una serie di schemi di provvedimento che, recependo alcune direttive europee, modificano anche le leggi ‘di riferimento’ del settore audiovisivo (e non solo). Tali schemi sono stati trasmessi al Parlamento che ha iniziato ora ad esaminarli e presto approverà dei testi ulteriori che, anche se non c’è vincolo, saranno poi probabilmente adottati in via definitiva dal Governo (una volta acquisiti anche i pareri dell’Agcom e di altri organismi).

Fra queste schemi c’è nientemeno che il recepimento della direttiva dell’Unione Europea sul diritto d’autore (la ‘legge sul copyright’ tanto attesa e discussa) e uno schema di provvedimento relativo al recepimento della direttiva (UE) 2018/1808 concernente il campo audiovisivo, che sarà attuato mediante importanti modifiche al cosiddetto Tusmar (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), che in Italia regolamenta il settore.

Non si tratta affatto di cose di poco conto (nonostante, appunto, la citata disattenzione generale agostana), visto che parliamo, nel campo televisivo, del rafforzamento dei ‘contenuti europei’, attraverso obblighi di trasmissione e investimento che in Italia riguarderanno, per esempio, Netflix (che forse non a caso si sta già infatti in buona misura adeguando preventivamente), l’aggiornamento delle regole per la tutela del pluralismo (con modifica dei tanto discussi ‘vincoli automatici’ soprattutto per l’Agcom venuti alla ribalta nella vicenda Mediaset-Vivendi) e addirittura le regole per l’affollamento pubblicitario televisivo: in quest’ultimo caso, in sintesi, vi sarebbero vincoli meno stringenti per le Tv commerciali nazionali (per le Tv locali, invece, nulla di nuovo) e le pay-tv e potenzialmente invece un po’ più ‘severi’ per la Rai.

Le novità hanno infatti un po’ allarmato i dirigenti di Viale Mazzini appena insediati, mentre non c’è stato un seguito, almeno per ora, su un punto potenzialmente ancor più ‘esplosivo’ per la stessa Rai, ovvero la possibilità che, sulla base sempre di norme europee, venga addirittura abolito il famoso ‘canone nella bolletta elettrica’.

Mentre questi argomenti sono stati, almeno per adesso, sostanzialmente ignorati dai media, il grande dibattito estivo si è invece incentrato sulle modifiche del Tusmar relative al settore radiofonico, che sono a loro volta effettivamente rilevanti.

Senza entrare nei dettagli (per effettiva mancanza di spazio), diciamo che fra i diversi punti in discussione c’è la possibilità che vangano modificati gli attuali limiti di diffusione territoriale (e di popolazione) delle Radio locali, ampliandoli sul modello del settore televisivo, e soprattutto l’idea di un passaggio al digitale (Dab+) anche della Radiofonia: tempi e modi in questo caso sono però molto incerti e nel settore si è molto temuto che il Governo pensi alla possibilità di uno switch-off della FM più o meno ravvicinato, che oltre ad ‘azzerare’ il valore delle attuali frequenze FM, comporterebbe magari prima anche l’adozione del mai attuato ‘piano analogico radiofonico’; quest’ultimo potrebbe, sulla base dei vincoli sulle frequenze ‘interferenti’ a livello internazionale, colpire molto duramente le attuali emittenti.

Dopo il clamore di agosto, il Ministero dello Sviluppo Economico ha deciso di convocare nei giorni scorsi una riunione con i rappresentanti del settore radiofonico e la sottosegretaria Anna Ascani ha cercato di rassicurare gli operatori del settore presenti, garantendo che non si procederà in modo ‘unilaterale’, senza tener conto della situazione che si è creata in diversi decenni di radiofonia privata e delle fondate preoccupazioni degli editori del settore.

Occorrerà però ora vedere anche che cosa dirà in merito il Parlamento e quali saranno, in concreto, le prossime mosse del Governo. Ne riferiremo con puntualità su queste pagine.

Mauro Roffi
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Che cos’è “locale” oggi per la radio?

In questi giorni, è al centro del dibattito la riforma del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici Digitali (TUSMAR).

Numerosi i commenti che sono emersi da più parti e che, in particolare, ha trattato con frequenti approfondimenti Newslinet.

In estrema sintesi, uno dei punti che ha letteralmente spaccato in due gli editori radiofonici e le associazioni di categoria riguarda la possibilità di estendere il numero di ascoltatori serviti via etere dalle “locali” da 15 a 30 milioni, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe in particolare per il mercato pubblicitario.

Il tutto, in un periodo storico in cui la diffusione analogica del segnale radiofonico (che rimane al momento preponderante) è sempre più affiancato dal DAB+ (con coperture diverse a seconda delle aree), dal digitale terrestre (audio e visual), oltre che dal web e dalle app.

Un tema che riguarda ovviamente la politica e che FM-world ha preferito non affrontare fino a quando non ci saranno decisioni concrete, ma che ci pone di fronte ad una domanda: che cosa oggi è “locale” parlando di radio?

Un’emittente che copre una regione in FM, ma ne serve 6 o 7 in DAB+ può essere ritenuta locale? E chi invece in FM già è a ridosso dei 15 milioni? E ancora, chi serve piccoli bacini in modulazione di frequenza ma è presente in mezza Italia in versione visual? E le syndication diventate superstation? E le “native digitali” che dal web sono comparse in DAB+ (e quindi via etere)? E gli editori nazionali che detengono anche reti locali?

Un insieme dunque di tante “diversità” che evidenzia quanto sia ricco, complesso e difficilmente classificabile il panorama radiofonico italiano.

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