Geolier domina la “Spotify Wrapped”, la panoramica delle classifiche dell’anno della popolare piattaforma.
Nel 2024, l’artista partenopeo ha trionfato come il più ascoltato dell’anno, come album più ascoltato in Italia (con “Dio lo sa”) e come brano più ascoltato in Italia (con la sanremense “I p’me, tu p’te”).
L’artista donna più ascoltata dell’anno, invece, è stata Anna, grazie in particolare alla hit estiva “30°C”.
A livello internazionale, gli artisti italiani più ascoltati sono ancora i Måneskin, mentre se consideriamo esclusivamente la categoria femminile, a dominare è Laura Pausini.
Infine, l’artista al vertice a livello mondiale è Taylor Swift, seguita da The Weeknd e da Bad Bunny.
“Dal Vinile a Spotify!”: com’è cambiato il nostro rapporto con la musica?
Il tema sarà al centro di una giornata, organizzata dall’agenzia Sorry Mom!, in programma sabato 23 novembre al Rock’N’Roll di Milano (via Bruschetti 11), in occasione di Milano Music Week.
Un evento ad ingresso libero di quasi otto ore, che prenderà il via alle 16.00, presentato da Marco Biondi.
Ovviamente non mancherà la musica, dalle 16.00 alle 17.00 e dalle 20.00 alle 23.30 con due Acoustic Live Set, dove si alterneranno oltre venti band.
Particolare interesse, tuttavia, c’è attorno ai due talk della giornata, il primo dei quali metterà a confronto diversi radiofonici.
Si terrà dalle 17.00 alle 18.30 e vedrà la presenza di Alteria (Virgin Radio), Ilaria Cappelluti (Radio Italia), La Fra (Radiofreccia), Luca De Gennaro (Radio Capital), Luigi Speciale (Radio 24), Petra Loreggian (RDS), Valerio Gallorini.
In buona parte si tratta di conduttori radiofonici, ma soprattutto di ‘gente di musica’, come specifica Marco Biondi, moderatore del dibattito, contattato da FM-world.
Un momento in cui sarà interessante capire com’è cambiato il rapporto tra radio e musica nel tempo, in un’epoca in cui piattaforme “on demand” come Spotify permettono di personalizzare ciò che ascoltiamo. In un contesto dove l’ascoltatore è sempre più protagonista, qual è dunque oggi il valore aggiunto della radio?
Di musica si parlerà anche nel talk successivo – dalle 18.30 alle 20.00 – quando i protagonisti saranno discografici e organizzatori di eventi.
Attesi sul palco del Rock’N’Roll diversi nomi noti del settore quali Alberto Fontanabona (Hero Booking), Claudio Trotta (Barley Arts), Giancarlo Sacco (Artist First), Ivan Storti (Universal Music Italia), Marzia Morandi (Warner Music Italia), Pino Scotto (cantante e musicista), Valentina Spada (Sword Music), Vinx from Vanilla Sky (cantante e musicista).
Una giornata importante, dunque, quella che si vivrà alla Milano Music Week, dove lo stesso Marco Biondi non nasconde l’emozione per una iniziativa nata l’anno scorso ‘in piccolo’ con talk della durata di un’ora e diventato – 12 mesi dopo – un evento importante, che ha coinvolto molti professionisti.
Per Biondi, peraltro, è un periodo di grandi soddisfazioni, con il recente ritorno in onda su una delle principali emittenti italiane – Radio Capital – dove conduce ogni giorno (dal lunedì al venerdì dalle 16.00 alle 18.00) la seconda parte di “Capital Records”.
“Tornare a fare radio è stato come tornare a casa dopo un lungo viaggio” – racconta a FM-world – “Un viaggio dove ho potuto fare tante esperienze, alcune delle quali continuano ancora oggi. A Capital ho ritrovato persone con cui avevo già lavorato in passato, da Luca Sacchi a Maurino, da Franco Russo ad altri ancora. E poi avere l’onore di essere collocato in un programma, dove a condurre la prima parte ci sono persone come Luca De Gennaro e Mixo che ho sempre stimato e con cui, a mio modo, sono pure cresciuto”.
Un aspetto che a Marco Biondi piace molto è il legame con il pubblico, che il conduttore definisce ‘molto competente e preparato musicalmente’.
“La cosa bella” – ci spiega – “è che si è creato un rapporto tale che, se mi capita di dire una inesattezza, gli ascoltatori sono pronti a correggerti, ma in maniera bonaria. Per cui la gratificazione del pubblico di Capital vale tanto, essendo molto collaborativo”. “Gli stessi argomenti che tratto” – conclude Biondi – “a volte nascono da interazioni che ho avuto con chi ci segue ogni giorno”.
Un momento, dunque, di grande gratificazione per il conduttore della seconda parte di “Capital Records” che invita tutti – a partire dai lettori di FM-world – alla giornata “Dal Vinile a Spotify!”, in programma sabato 23 novembre a Milano.
C’e voluta la minaccia di una causa di gruppo (class action) per convincere Spotify a (forse) rimborsare i propri clienti che avevano acquistato Car Thing, dopo averli addirittura invitati a riciclare il loro ormai inutile device in modo responsabile.
C’era una volta una cosa per auto
Cos’è, anzi, cos’era Car Thing? Annunciato come “Spotify’s smart player designed for your drive“, il player intelligente pensato per la vostra auto, Car Thing era un lettore di media in streaming con display touch e comandi vocali che si poteva agganciare al cruscotto dell’auto.
Funzionava sincronizzandosi con uno smartphone via Bluetooth (o con un cavo aux da 3.5 mm, per i nostalgici dei tempi dell’auricolare).
L’idea era portare un’interfaccia moderna stile Apple Car Play su tutte le vetture più vecchie, quelle non dotate appunto di CarPlay o Android Auto e relativi magnifici display grafici.
Hey, Spotify
Una volta sincronizzato, Car Thing visualizzava la musica preferita, i podcast, le playlist e i contenuti di tendenza su Spotify, che potevano poi essere selezionati utilizzando i controlli touch, la manopola, quattro pulsanti di selezione rapida o l’assistente vocale integrato, attivabile dicendo ‘Hey Spotify“.
99 dollari
Costo limitato, funzionalità limitate: ma in realtà poco dopo il lancio la società aveva preannunciato l’integrazione di nuove app, portando molti a pensare la possibile aggiunta di quella dedicata all’ascolto delle radio lineari.
Niet
Niente da fare: il 23 maggio Spotify ha annunciato che avrebbe reso totalmente inutili (“bricked“) i device a partire dal 9 dicembre 2024 (un lunedì).
“We understand it may be disappointing“, capiamo che potreste essere scontenti era annunciato sul sito.
Probabilmente dal punto di vista di un imprenditore del web quale Daniel Ek, i circa 99 dollari spesi dagli utenti sono nulla, più opportuno assicurarsi che questi si comportino in modo ecologicamente lodevole, cioè provvedano a “safely disposing of your device following local electronic waste guidelines“, smaltire in modo sicuro il dispositivo seguendo le linee guida locali per i rifiuti elettronici.
Rimborso? Parliamone
Di rimborso non si è parlato fino al 30 maggio, quando è comparsa una risposta vagamente evasiva sul sito di Spotify: “Q: Posso ottenere un rimborso? A: Chi desidera un rimborso può contattare il supporto clienti con la prova di acquisto per discutere le varie opzioni“.
Forse leggiamo troppo tra le righe, ma a noi “individuals seeking a refund” non sembra proprio il massimo, meglio sarebbe stato affermare direttamente che tutti i clienti sarebbero stati rimborsati. Senza parlare dell’idea di “discuterne con il customer support”, una specie di minaccia se pensiamo alle esperienze che tutti abbiamo quando dobbiamo chiedere qualcosa ai vari call center.
Buy physical copies of any book you plan to read in the future. Do it now.
Ci permettiamo una morale a questa vicenda: come nel caso del Kindle di Amazon, dove la società aveva cancellato dai lettori dei clienti un libro acquistato da mesi dopo essersi accorta di non possederne i diritti, o in quello di due anni fa, quando alcuni editori di e-book avevano addirittura modificato le parole di autori ormai deceduti per renderle politically-correct gli oggetti fisici o i servizi che funzionano solo tramite cloud sono molto pericolosi.
Nel caso di Car Thing di cui stiamo parlando dev’esserci stato anche stato un “kill switch” nascosto, in quanto non comprendiamo come un device che funziona tramite sincronizzazione con lo smartphone possa smettere di funzionare a comando da parte degli svedesi.
Don’t worry
Non è comunque il caso di preoccuparsi per i ricavi di Spotify: se anche dovessero rimborsare molti utenti, potranno facilmente rifarsi con il nuovo aumento del costo degli abbonamenti deciso solo pochi giorni fa. (M.H.B. per FM-World)
“Cenere” di Lazza è il brano più ascoltato nel 2023.
Lo rende noto Spotify che ha pubblicato in settimana i pezzi e gli artisti di maggior successo dell’anno ancora in corso.
Sfera Ebbasta e Anna – riporta Spotify Wrapped – sono rispettivamente l’“artista uomo” e l’“astista donna” più ascoltati negli ultimi dodici mesi in Italia.
I Måneskin sono gli italiani più ascoltati nel mondo, mentre Laura Pausini lo è nella categoria femminile.
“Il coraggio dei bambini” di Geolier è stato l’album di maggior successo nel nostro Paese, mentre “Elisa True Crime” il podcast più “strimmato”.
Si parla di tecnologia e di come funziona l’algoritmo di Spotify, in questo editoriale scritto per FM-world da Marco Barsotti.
Dopo tanti post in cui esperti o presunti tali ci spiegavano l’algoritmo di Spotify (battezzato da alcuni BaRT, Bandits for Recommendations as Treatments, il 15 aprile è stato pubblicato un articolo sullo stesso argomento da parte del Wall Street Journal. Unendo quanto spiegato da questa autorevole fonte ad alcuni interessanti notebook (in Python) di parte di studiosi di DataScience pensiamo di poter raccontare qualcosa di interessante.
Scettici?
Prima di buttarci nei dettagli una spiegazione. Siamo sempre stati scettici degli articoli online che “spiegavano” BaRT in quanto – a differenza di Facebook e di Netflix – il blog dell’engineering di Spotify (che è questo) non ha mai citato nulla di nome BaRT. Abbiamo visto articolo sulle proprietà dell’ algoritmo di Poisson per la stima dei quartili in test A/B o anche una descrizione tutta da leggere (non mancate, qui) sull’aura musicale di ciascuno di noi. Ma di BaRT niente. Ma passiamo all’articolo del Journal.
Echonest
Le basi dell'”algoritmo” vengono dall’acquisizione da parte di Spotify di The Echonest avvenuta nel 2014: si tratta di un’azienda nata come spinoff del MIT Media Lab(quello di Negroponte e del suoOne Laptop per Child).
Echonest non analizzava solo i brani in quanto tali: in un post del 2013, subito prima l’acquisizione, veniva spiegato chiaramente: “Indicizziamo e analizziamo oltre 10 milioni di nuovi blog post, discussioni sui social media e recensioni musicali quotidiane. Applichiamo poi tecniche di Machine Learning e Natural Language Processing per contestualizzare queste discussioni e identificare trend musicali”.
Oltre i metadati
Troverete il resto della spiegazione qui. Ed è quel database, per cosi’ volerlo chiamare, che ha posto le fondamenta per il sistema di raccomandazioni attuale.
Collaborative filtering
Il primo passo oggi è un processo detto “collaborative filtering“. Tra i suoi obiettivi, spiega al WSJ Ziad Sultan “vice presidente della personalizzazione” di Spotify, quello di identificare affinità tra brani e podcast (tra brani e podcast!) osservandone i posizionamenti relativi nelle playlist di milioni di utenti.
Spazio n-dimensionale
Questi oggetti (brani e podcast) sono inseriti nello spazio n-dimensionale che possiamo vedere in versione semplificata (3D) qui sopra: la distanza cartesiana tra i punti rappresenta le affinità.
A Natale siamo tutti più buoni, tranne pero’ questi spazi n-dimensionali che divengono nocivi. Basta pensare al tormentone “All I Want for Christmas Is You” di Carey che a partire da inizio dicembre si trova prossimo a praticamente tutti gli altri brani, tra cui lo scorrelatissimo “Silent Night“. E apparentemente in Italia anche a Quevedo (e agli Wham).
Terremoti
Un effetto poco gradevole già a dicembre, figuriamoci da gennaio in poi. E – detto per inciso – a chi scrive è capitato “su un noto social” di vendere per due settimane una quantità irragionevole di influencer turche musulmane intente (crediamo) a spiegare qualche concetto trascendente.
La spiegazione stava nella “deduzione” del di lui “algoritmo” di un nostro interesse per una religione avendo avuto la colpa di visualizzare un po’ troppi video relativi al terremoto in Turchia.
Content Based Filtering
Andiamo avanti. Il passo successivo è il Content Based Filtering. L’idea è di associare un numero decimale (“float32”) a ciascuno dei seguenti parametri per ogni brano: loudness, tempo, danceability, energy, speechiness, acousticness, instrumentalness, liveness, valence, e duration. Con un po’ di passaggi si ottiene un vettore associato a ogni playlist:
con il risultato all’immagine seguente (la playlist di base è quella a sinistra, mentre le due a destra sono generate da due differenti algoritmi, il primo dei quali è appunto quello di Spotify). Senza dubbio i tanti lettori di FM-World esperti di clock e playlist potranno darcene un giudizio ragionato.
Non ditelo a nessuno, ma…
…Ma è possibile utilizzare questo sistema anche per creare playlist per le nostre emittenti: è tutto disponibile qui.
SIA vs Avicii
A titolo di curiosità, ecco di seguito i parametri che abbiamo trovato confrontando i parametri di due splendidi ma diversi brani: la versione di SIA di “I Go To Sleep” (a sinistra) con “Seek Bromance” di Avicii/Tin Berg (i parametri sono in stile JSON, dunque nome-parametro : valore). Ad esempio Avicii ha una “danceability” di 0,49 mentre SIA solo di 0,43.
Recensioni
Questi dati, ricavati da un’analisi dei brani stessi, sono poi integrati con attributi e parole chiave utilizzate nelle varie recensioni fatte da critici (siti ufficiali) e normali ascoltatori (blogs e reddit): e qui ritroviamo, appunto, il database di The Echonest.
Politically-Correct-ness
C’era da attenderselo di questi tempi: l’articolo del Journal non poteva esimersi da terminare con una “messa in guardia” contro l’attacco alla “diversità” possibile tramite questi sistemi di IA.
Ecco la spiegazione: “Se un ascoltatore ha nella sua playlist una predominanza di brani cantati da uomini allora le playlist (per terzi) create sulla base di quella rischiano anch’esse di aver un bias “anti-femminile” (!) creando un possibile feedback loop che amplificherà l’aberrazione.
Soul Music
E quindi non possiamo che concludere con una nota positiva: agli esordi di Radio Milano International in tanti ci eravamo appassionati della Motown e della Soul Music: il nostro personale bias era (e in parte è, avendo ancora sull’iPhone alcune compilation dell’epoca) decisamente pro-black (scusate l’inglese), dunque nessuno potrà mai darci dei razzisti.
Orgogliosi possiamo oggi affermarlo: stavamo lodevolmente cercando di costruire un mondo con una maggiore “inclusion“. (Marco Barsotti per FM-World)
General Motors, quinto costruttore automobilistico del mondo per fatturato, è intenzionato ad abbandonare Apple CarPlay (ma anche Google Android Auto) a favore di una soluzione proprietaria. Obbiettivo dichiarato: catturare dati e abitudini dei clienti, anche disintermediando le piattaforme di intrattenimento attuali, incluse quelle radiofoniche.
Lo ha svelato Reuters in un articolo del 31 marzo: vediamo insieme qualche dettaglio, unito ad alcune considerazioni generali sull’importanza che radio (e TV) non si facciano sottrarre il rapporto diretto con il proprio pubblico.
Punti di vista
L’iniziativa di GM si spiega se guardiamo i fatti dal punto di vista di un costruttore: come scrive Reuters, Apple CarPlay e Android Auto “allow drivers to bypass a vehicle’s infotainment systems“, permettono all’utente di bypassare i sistemi nativi della vettura.
Una contrapposizione tra costruttori di vetture e piattaforme tecnologiche dove le nostre radio e TV non sembrano neppure essere parte in causa.
Machine Learning
In un mondo dove la collezione, l’analisi, l’elaborazione tramite Machine Learning e perfino la rivendita dei dati è chiave (come ben spiega Netflix) un costruttore non può lasciare che siano altri a “catturare informazioni su come i propri clienti guidano e ricaricano l’auto” (parole di GM). Oltre naturalmente s catturare quelle sulle preferenze nel campo dell’intrattenimento.
Guadagno “per noi”
GM pare intenzionata a offrire la nuova soluzione su tutti i veicoli elettrici e – forse – su parte dei nuovi a combustione. E non si pensa a servizi gratuiti: “We do believe there are subscription revenue opportunities for us,”, pensiamo ci siano grandi opportunità di guadagno per noi, ha affermato Edward Kummer, Chief Data Officier della casa di Detroit.
Il che ci ricorda una frase che ci aveva detto durante un’intervista dell’anno scorso un importante editore parlando di TuneIn: “Quelli guadagnano sulle nostre radio” (con i famosi pre e mid-roll).
Spotify sì, radio non pervenute
Kummer ha anche affermato – bontà sua – che Spotify sarà parte della soluzione. Ma nessun accenno alle app proprietarie delle nostre stazioni DAB/FM ne ad aggregatori terzi quali TuneIn o FM-World. E – piuttosto grave – nulla si dice di un ipotetico “App Store di GM” (anche se il caso di FireOS ci porta a pensare che questo non sia del tutto da escludere).
Friction
Il punto che vogliamo sottolineare è quello che gli anglosassoni chiamano “friction”: anche se sarà sempre possibile connettere la propria applicazione su cellulare al Bluetooth dell’auto, questa operazione avrà sempre una “friction” enormemente maggiore rispetto al semplice tap su uno schermo che contiene applicazioni decise dal costruttore della vettura.
Prospettive
L’automobile è e diventerà sempre più un luogo essenziale per la fruizione dell’intrattenimento. Già oggi molte vetture sono dotate di schermi per i passeggeri posteriori e c’e’ da attendersi che con l’evoluzione della guida autonoma questi saranno resi disponibili anche al guidatore. E in quanto ai contenuti non pensiamo solo a OTT e streaming radio: ma anche a piattaforme di gaming e social orientati al video quali TikTok.
Large Language Models (Transformer)
Clock in pensione
Senza dimenticare l’impatto dei LLM (Large Language Models tipo ChatGPT, Bard, Anthropic e simili), che probabilmente creeranno in locale palinsesti personalizzati – dopo aver appreso gusti e abitudini dei passeggeri – senza alcun bisogno dei broadcaster e dei loro “clock”.
Content is King (or is it?)
Tutti questi sviluppi ci portano ad affermare che solo radio e TV che saranno in grado di creare contenuti originali e distribuirli tramite canali nuovi – alcuni per ora inesplorati – siano destinate a restare rilevanti nei prossimi decenni.
Fronte Comune
Per il momento, come aveva giustamente affermato Eugenio La Teana in un recente podcast, è essenziale che i broadcaster italiani (anzi: europei) facciano fronte comune, tutti uniti al fine di essere interlocutori credibili di giganti quali GM, Stellantis e Renault ma anche Google, Meta e OpenAI.
Perché il pericolo di essere totalmente disintermediati e’ fortissimo e occorre attrezzarsi fin da subito. (M.H.B. per FM-world)