Rai e questioni radiofoniche: il parere del Parlamento sulle modifiche al Tusmar
Il Parlamento ha finalmente dato i pareri previsti (da parte di Camera e Senato) in tema di recepimento della direttiva europea sui media, dopo lo schema di decreto legislativo che modifica il Tusmar (il Testo Unico che regola i media audiovisivi) approvato e trasmesso dal Governo all’inizio di agosto. La questione, ormai diventata piuttosto urgente per le imminenti scadenze in materia, non è tecnica ma di grande importanza, dato che si tratta di modifiche di rilievo alle norme attualmente in vigore; la questione infatti è stata a lungo all’esame del Parlamento, parallelamente a quella del recepimento della famosa disciplina europea sul diritto d’autore (anche su questo tema il Parlamento ha appena concluso i suoi lavori esprimendo il suo parere).
Al Senato si è occupata della materia Tusmar la Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni, alla Camera è toccato alle Commissioni Cultura e Trasporti/Telecomunicazioni. Entrambe hanno espresso parere favorevole al provvedimento del Governo ma con numerose osservazioni (altrettanto hanno fatto nel frattempo altri organismi), che naturalmente avranno una certa importanza rispetto alle decisioni finali governative.
Fra i punti più controversi del provvedimento (che fra l’altro si occupa anche di affollamenti pubblicitari delle Tv private, ampliandoli un po’, e aggiorna la normativa applicata a casi controversi sul tipo di quello Vivendi-Mediaset) c’è una certa riduzione, invece, sempre degli affollamenti pubblicitari della Rai, rendendo la situazione più consona a quella europea. Questa decisione non viene contestata direttamente da Camera e Senato, che però insistono sull’esigenza di non creare ulteriori problemi finanziari a Viale Mazzini, che già vive una situazione difficile su questo piano.
Il Senato raccomanda al Governo di far sì che fino a gennaio 2025 non vi siano riduzioni delle risorse derivanti dal canone alla Rai, mentre la Camera propone di fare ben di più e auspica che il Governo preveda che l’intero gettito derivante dal canone vada alla Rai, fatta salva la quota riservata al Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (cosa che ovviamente dovrebbe tranquillizzare anche le emittenti locali). In sostanza, andrebbe abolita la tassa governativa sul canone stesso, destinando di fatto alcune decine di milioni in più alla Rai.
Sia la Camera che il Senato chiedono poi di alleggerire la materia delle quote obbligatorie di investimento in prodotto europeo e italiano per i ‘colossi’ mondiali dell’audiovisivo e dello streaming e di abolire quelli di programmazione.
Ma quel che interessa di più i lettori di FM-world è sicuramente il tema della Radiofonia, che ha provocato molte polemiche l’estate scorsa. L’impostazione scelta dalle due Camere è ‘liberista’, per così dire. L’idea è che il Governo permetta ad uno stesso editore di essere titolare sia di Radio locali che di emittenti nazionali e che il bacino massimo di diffusione delle Radio locali passi al 50% della popolazione rigorosamente non oltre il 1° gennaio 2023 (anche se passerà intanto più di un anno).
Ci sono poi i timori relativi al passaggio al digitale del mondo radiofonico, ma con preventiva ‘razionalizzazione’ dell’attuale ‘panorama analogico’ delle Radio (molti temono che un piano delle frequenze analogico significhi anche riduzione delle emittenti presenti attualmente in FM). L’approccio proposto soprattutto dal Senato sembra tentare di ‘calmare le acque’ in questo campo.
Si propone infatti al Governo di valutare “l’opportunità di eliminare la previsione di un nuovo tavolo tecnico di confronto che proceda alla valutazione del sistema delle concessioni e autorizzazioni radiofoniche su frequenze terrestri in tecnica analogica e della relativa copertura, che appare superfluo alla luce delle competenze già attribuite al Ministero dello sviluppo economico e all’AGCOM”.
Ma soprattutto si chiede di valutare “l’opportunità di chiarire che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica debba tenere conto dell’esigenza di incoraggiare l’uso efficace e la gestione efficiente delle radiofrequenze, di tutelare i rilevanti investimenti effettuati dalle imprese e di promuovere l’innovazione e debba inoltre garantire la prosecuzione delle diffusioni radiofoniche legittimamente operanti da parte dei concessionari per la radiodiffusione analogica attive alla data di approvazione del piano”. Andrebbe inoltre eliminato “il riferimento all’attività di ricognizione e di progressiva razionalizzazione dell’uso delle risorse frequenziali in tecnica analogica, che appare superflua e indeterminata”.
La parola definitiva su tutto ora spetta (in tempi probabilmente piuttosto brevi) al Governo.
Mauro Roffi
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