Prominence: di cosa si tratta e perchè dobbiamo occuparcene subito

La posizione di prominenza degli operatori radio-tv tradizionali, garantita da un segnale robusto per la radio o da una numerazione bassa nelle LCN della TV, sta rapidamente scomparendo.

Si è dunque coniato il termine prominence (per lo più associato alla TV, ma ovviamente lo stesso concetto si può applicare alla categoria audio) per nobiliare i tentativi di trasportare nel nuovo mondo digitale i vantaggi acquisiti dagli operatori storici.

In questo articolo vediamo rapidamente di cosa si tratta per poi cercare di fare qualche considerazione – speriamo – sensata. 

Prominence 

Iniziamo dalla definizione completa, fornitaci da PeperoniAI:


Possiamo dunque utilizzare la parola italiana “visibilità’”, come suggerito dal nostro amico LLM. La visibilità implica capacità di attirare l’attenzione dell’audience, con la conseguente maggior probabilità che l’utente scelga il nostro contenuto (ed eventualmente ci resti, se lo trova di suo gradimento). 

Come sappiamo tutti, storicamente la visibilità nel settore radio si raggiunge(va) con un segnale potente (e magari attorno ai 98 Mhz) mentre in quello televisivo con un buon posizionamento nella LCN. 

Logica discutibile 

LCN: Il termine inglese significa Logical Channel Numbers, dove la presunta “logica” deriva dall’idea che il burocrate delle authority abbia più buon senso del telespettatore. 

Ricordiamo infatti tutti come al tempo dell’analogico potevamo scegliere liberamente l’ordine dei canali. D’accordo, sui primi sei c’era consenso, ma dal settimo in poi i “canali” dovevano guadagnarsi la posizione con i loro contenuti.

Ma il mondo della TV lineare ha deciso diversamente: un’autorità nazionale decide per tutti coloro che ricevono in UHF.

In ogni caso il risultato è uno spreco energie ad alti livelli in diatribe quali la “possibilità di scambiare numerazioni automatiche dei canali all’interno della medesima area tecnica tra reti non omogenee”. Battaglie probabilmente inutili perché nessun umano può davvero ricordare posizioni oltre le prime decine, ma soprattutto perché le modalità di accesso ai contenuti video sta rapidamente mutando.

Bottoni e app

Molti i motivi. Un primo evidente: da anni i telecomandi sono dotati dei bottoni di accesso direttto ad alcuni importanti OTT. Bottoni che una volta premuti portano ad accattivanti schermate di impostazione moderna dove non si fa differenza tra contenuti live e on-demand.

In secondo luogo prevale ormai negli utenti l’abitudine alla fruizione dei contenuti tramite icone e app, approcio inventato da Steve Jobs con l’iOS 1 e adottato nel campo TV per primo da Netflix. Un sistema che prevede lunghe descrizioni, le possibilità di preview e di binge watching e che regala un’esperienza utente infinitamente superiore a quello dello “scanalamento” o delle scomodissime “EPG”.

Senza dimenticare che è  TV per i piû giovani si chiama YouTube:

Tanti ragazzi non fanno differenza tra schermo di cellulari, tablet e TV e usano il portale di Google come “televisione”.

Ironico, considerato che per loro la parola “tube” (in YouTube) probabilmente non significherà proprio nulla.

Oltre al danno, la beffa 

Con una beffa finale: anche chi resta legato alla LCN si vede proporre alcuni canali brandizzati dal produttore della TV (LG Channels, Samsung Tv Plus) : canali digitali che esistono come app (in prominence) ma che sono anche mappati su una numerazione aggiuntiva alla LCN la cui logica è scelta dal produttore.

Con il risultato che anche se vogliamo un classico canale nazionale (quelli che tutt’ora godono dei numeri bassi in base ai fasti del passato), non appena digitiamo la prima cifra la TV ci propone i canali proprietari che iniziano con o contengono la cifra digitata. 

Un vero attacco allo status quo, che il settore radiofonico e’ invece riuscito a ritardare  grazie al fatto di essere ancora sostanzialmente fermo alla nostra adorata FM.

Radio 

Per la radio, anzi per i contenuti audio, possiamo comunque provare a proiettarci in un mondo prevalentemente digitale, facendoci aiutare dall’ esempio del Regno Unito (da sempre pioniere nell’adozione delle tecnologie). 

Nell’ex membro EU ben il 75% degli ascoltatori usa nella settimana una piattaforma digitale (dati RAJAR): 40% DAB, 52% Smart Speaker, 32% app su cellulare (la somma e superiore al 100% per motivi facili a comprendere).

Il dato relativo agli smart speaker – se consideriamo nella categoria anche gli HomePod Apple – è anche in linea con quanto aveva affermato il direttore di The Times Radio durante un’intervista per Newslinet: sempre di piu’ anche in UK il ruolo della classica “radio” di casa viene preso dagli speaker, smart o meno.

Prominence

Dobbiamo quindi porci il problema di cosa sia la prominence per la radio. Azzardiamo qualche risposta.

In casa, con gli smart speaker, prominence (sorry: la visibilita’) corrisponde in primo luogo alla potenza del proprio marchio.

E alla facilità di essere riconosciuto correttamente a un comando vocale: qualche semplice prova dimostra ad esempio che funziona molto bene “Riviera Radio” (nome unico), maluccio “dee jay” (nome generico).

Per quanto riguarda invece il DAB e l’IP,  dove non esistono a nostro avviso player dominanti, il problema resta quello di emergere nel mare dei canali: circa 150 a Milano città in DAB, e sostanzialmente infiniti nel mondo in IP.

Dashboard

E qui si ritorna al dashboard e alla serie di interviste che stiamo effettuando con alcuni player del settore. Perché la radio – si sa – è il tipico media da ascoltare in viaggio.

Prominence è in questo caso il posizionamento sul cruscotto (anzi: dashboard) delle vetture, un campo dove sembra si stia giocando una battaglia tra costruttori e piattaforme (cfr il caso GM), ma a fronte di utenti che…non ne vogliono sapere.

Utenti frustrati

Talmente gustoso il titolo di un recente articolo di The Verge in merito che lo riportiamo tale quale: “Le persone non ne possono piu’ di tutta la tecnologia inutile nelle loro auto.

Per la prima volta in 28 anni di sondaggio sui proprietari di auto di JD Power, c’è un calo consecutivo della soddisfazione anno su anno, con la maggior parte dell’ira diretta all’infotainment in-car.”

Se è abituato a un’app sul cellulare, è proprio questa app che l’utente vuole ritrovare, il più uguale possibile, sullo schermo della vettura. Come testimonia la ricerca citata, dove si afferma che la preferenza va a Apple Car Play di Apple.

Lo sottolineiamo, perché lo riteniamo un dato essenziale: gli utenti vogliono in auto la stessa esperienza utente che hanno sul loro cellulare.

Che ci porta ad avanzare l’ipotesi che sia strategico investire subito sulla promozione delle app proprietarie (mono brand) e contemporaneamente su un buon posizionamento sui principali aggregatori (dove altrimenti esiste il problema della “prima pagina”, proprio come accade con le ricerche Google).

Ricordiamo per concludere che solo gli aggregatori hanno una chance di essere “visibili” sui dashboard delle vetture del futuro, dove già oggi competono con…Spotify.

Ma di questo riparleremo a breve.

(Marco Barsotti per FM-World)

Oltre le ore di ascolto cumulate: Netflix introduce una metrica quasi simile al “numero di telespettatori”

Servizio a cura di Marco Barsotti

Breaking news nel mondo dell’On-Demand. Netflix, che da sempre ha riportato i dati di ascolto dei propri show sulla base delle “ore cumulate di ascolto” fa un passo verso una metric più familiare (e forse omogenea agli altri broadcaster), introducendo le…”Ore di visione diviso per il totale del run time”. 

View Count

Un indicatore che Hollywood Reporter definisce “view count”, contatore delle visualizzazioni. 
Certo, non si tratta di “telespettatori” o del curioso termine scelto da Tvblog: gli “ascolti” televisivi.

Ma è pur vero che siamo tutti abituati da decenni a leggere che “Sherlock Holmes ha registrato ieri un netto di 753.000 telespettatori, share 5.3%” e il dato tradizionalmente fornito da Netflix, “Manifest stagione 4 ha registrato 42 miliioni e 900 mila ore viste” era troppo astratto per permettere un paragone.  

Certo, la società aveva in passato spiegato il razionale di questa scelta, che tiene ad esempio in conto del fatto che a taluni titoli cult vengono spesso visti numerose volte.

Difficoltà di contestualizzazione

Ma oggi, in un post che inizia con “We heard feedback that only providing hours viewed on our Top 10 lists was hard to contextualize” (abbiamo recepito i vostri messaggi sulla difficoltà di “contestualizzare” la nostra classifica di ascolto) il gigante dell’OTT fa appunto un passo avanti.

Semplici divisioni

Cosi’ Netflix spiega la scelta: 

Il numero di ore viste diviso per la durata si è dimostrata una metrica più facilmente comprensibile per molte persone, quindi a partire da oggi, mentre continueremo a mostrare le ore di visualizzazione per titolo, le nostre classifiche Top 10 saranno ora ordinate per visualizzazioni. Estenderemo anche il periodo di qualificazione per le nostre liste più popolari da circa un mese (28 giorni) a tre mesi (91 giorni) dato che molti dei nostri show e film crescono significativamente nel tempo”. 

 Nessuna metrica è perfetta

“Come abbiamo sempre detto” – afferma la società -, “non esiste una metrica di streaming perfetta. Ma riteniamo che le visualizzazioni combinate con il totale delle ore di visualizzazione siano un’evoluzione positiva perché: 

  • È ancorata al coinvolgimento – la nostra migliore misura della soddisfazione dei membri e un fattore chiave di fidelizzazione (che a sua volta guida il nostro business); 
  • Garantisce che i titoli più lunghi non abbiano un vantaggio; e 
  • Consente ai terzi di confrontare l’impatto relativo di film e serie – nonostante la diversa durata. 

Questi cambiamenti forniscono una panoramica più completa di ciò che gli spettatori Netflix preferiscono in tutto il mondo e consentono paragoni più equi tra film e programmi tv di lunghezza diversa. “

Più spettatori che abbonati

Ecco, dunque, che scopriamo come The Queen’s Gambit figuri nell’elenco dei 10 titoli “più visti” di tutti i tempi, mentre – e questo ci pare notevole – Squid Games e Wednesday hanno entrambi visto un numero di telespettatori superiore al numero di abbonati a livello mondiale. 

Un dato difficilmente eguagliabile dalle nostre reti tradizionali, che difficilmente potranno mai annunciare un numero di telespettatori superiore ai 59 milioni. (M.H.B. per FM-World) 

 

 

General Motors

General Motors scarica Apple CarPlay a favore di una soluzione proprietaria. L’inizio di un trend pericoloso?

General Motors, quinto costruttore automobilistico del mondo per fatturato, è intenzionato ad abbandonare Apple CarPlay (ma anche Google Android Auto) a favore di una soluzione proprietaria. Obbiettivo dichiarato: catturare dati e abitudini dei clienti, anche disintermediando le piattaforme di intrattenimento attuali, incluse quelle radiofoniche.

Lo ha svelato Reuters in un articolo del 31 marzo: vediamo insieme qualche dettaglio, unito ad alcune considerazioni generali sull’importanza che radio (e TV) non si facciano sottrarre il rapporto diretto con il proprio pubblico.

Punti di vista

L’iniziativa di GM si spiega se guardiamo i fatti dal punto di vista di un costruttore: come scrive Reuters, Apple CarPlay e Android Auto “allow drivers to bypass a vehicle’s infotainment systems“, permettono all’utente di bypassare i sistemi nativi della vettura.

Una contrapposizione tra costruttori di vetture e piattaforme tecnologiche dove le nostre radio e TV non sembrano neppure essere parte in causa.

Machine Learning

In un mondo dove la collezione, l’analisi, l’elaborazione tramite Machine Learning e perfino la rivendita dei dati è chiave (come ben spiega Netflix)  un costruttore non può lasciare che siano altri a “catturare informazioni su come i propri clienti guidano e ricaricano l’auto” (parole di GM). Oltre naturalmente s catturare quelle sulle preferenze nel campo dell’intrattenimento.

Guadagno “per noi”

GM pare intenzionata a offrire la nuova soluzione su tutti i veicoli elettrici e – forse – su parte dei nuovi a combustione. E non si pensa a servizi gratuiti: “We do believe there are subscription revenue opportunities for us,”, pensiamo ci siano grandi opportunità di guadagno per noi, ha affermato Edward Kummer, Chief Data Officier della casa di Detroit.

Il che ci ricorda una frase che ci aveva detto durante un’intervista dell’anno scorso un importante editore parlando di TuneIn: “Quelli guadagnano sulle nostre radio” (con i famosi pre e mid-roll).

Spotify sì, radio non pervenute

Kummer ha anche affermato – bontà sua – che Spotify sarà parte della soluzione.  Ma nessun accenno alle app proprietarie delle nostre stazioni DAB/FM ne ad aggregatori terzi quali TuneIn o FM-World. E – piuttosto grave – nulla si dice di un ipotetico “App Store di GM” (anche se il caso di FireOS ci porta a pensare che questo non sia del tutto da escludere).

Friction

Il punto che vogliamo sottolineare è quello che gli anglosassoni chiamano “friction”: anche se sarà sempre possibile connettere la propria applicazione su cellulare  al Bluetooth dell’auto, questa operazione avrà sempre una “friction” enormemente maggiore rispetto al semplice tap su uno schermo che contiene applicazioni decise dal costruttore della vettura.

General Motors

Prospettive

L’automobile è e diventerà sempre più un luogo essenziale per la fruizione dell’intrattenimento. Già oggi molte vetture sono dotate di schermi per i passeggeri posteriori e c’e’ da attendersi che con l’evoluzione della guida autonoma questi saranno resi disponibili anche al guidatore. E in quanto ai contenuti non pensiamo solo a OTT e streaming radio: ma anche a piattaforme di gaming e social orientati al video quali TikTok.

Schema di massima di un Transformer

Large Language Models (Transformer)

Clock in pensione

Senza dimenticare l’impatto dei LLM (Large Language Models tipo ChatGPT, Bard, Anthropic e simili), che probabilmente creeranno in locale palinsesti personalizzati – dopo aver appreso gusti e abitudini dei passeggeri – senza alcun bisogno dei broadcaster e dei loro “clock”.

Content is King (or is it?)

Tutti questi sviluppi ci portano ad affermare che solo radio e TV  che saranno in grado di creare contenuti originali e distribuirli tramite canali nuovi – alcuni per ora inesplorati – siano destinate a restare rilevanti nei prossimi decenni.

Fronte Comune

Per il momento, come aveva giustamente affermato  Eugenio La Teana in un recente podcast, è essenziale che i broadcaster italiani (anzi: europei) facciano fronte comune, tutti uniti al fine di essere interlocutori credibili di giganti quali GM, Stellantis e Renault ma anche Google, Meta e OpenAI.
Perché il pericolo di essere totalmente disintermediati e’ fortissimo  e occorre attrezzarsi fin da subito. (M.H.B. per FM-world)

* Per comunicati e segnalazioni: [email protected]

Alessandro Cattelan si pone su Netflix “Una semplice domanda”

Prende il via “Una semplice domanda”, il docu-show di Alessandro Cattelan, disponibile su Netflix dal 18 marzo.

Sei episodi con diversi protagonisti del mondo dello sport, dello spettacolo e del giornalismo, tutti con l’obiettivo di capire che cos’è la felicità, da che cosa dipende e come la si raggiunge.

Da Roberto Baggio a Geppi Cucciari, passando per Elio, Francesco Mandelli, Paolo Sorrentino, Gianluca Vialli.

Questi i principali nomi che hanno portato avanti diverse riflessioni, in parte già anticipate dallo stesso Cattelan, anche nel programma quotidiano che conduce su Radio Deejay dalle 12.00 alle 13.00.

* Archivio News –> www.fm-world.it/news

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Tra Rai e Netflix, doppio impegno televisivo per Alessandro Cattelan

“Eccomi qua, photoshoppato come una vecchia diva a raccontarvi un po’ di cose sulle due prime serate di ‘Da grande’ su Rai1”.

Alessandro Cattelan annuncia così sui social la copertina del nuovo numero di “TV Sorrisi e Canzoni”, al cui interno – in una intervista esclusiva – anticipa non solo dettagli del programma Rai, ma anche novità che lo riguarderanno su Netflix.

‘Da grande’ andrà in onda di domenica sera, il 19 ed il 26 settembre.

Cinque i primi ospiti ufficiali: Luca Argentero, Carlo Conti, Elodie, Antonella Clerici e Il Volo.

Cattelan non si limiterà a presentare, ma sarà un vero e proprio show dove canterà, reciterà e ballerà.

Per quanto riguarda Netflix, il conduttore ha anticipato che è in arrivo un docu-show in otto episodi chiamato “Una semplice domanda”.

Il tutto senza dimenticare la radio, di cui parleremo nei prossimi giorni, con la partenza dei palinsesti della stagione 2021-2022.

* Archivio News –> www.fm-world.it/news

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