La questione autopromozione durante le indagini di ascolto, opinioni a confronto nel gruppo Facebook “Talkmedia”

Si è discusso molto, sul gruppo Facebook Talkmedia e in generale nel mondo della Radio, sulle autopromozioni delle emittenti durante le indagini sugli ascolti.

Pratica che consiste nell’invitare gli ascoltatori a rispondere a eventuali chiamate di sconosciuti (“potrebbe essere l’indagine di ascolto“) e a dare indicazioni su come rispondere. Una cosa vietata in Francia ma che la maggioranza dei lettori reputa lecita e che viene invece ritenuta pericolosa dai ricercatori di AST.

Sul gruppo Talkmedia le opinioni variano in modo estremo, passando da chi ritiene la pratica assolutamente lecita, chi la ritiene probabilmente ininfluente, chi la considera lesiva dell’immagine dell’emittente stessa e chi afferma che effettivamente ha il potere di modificare i risultati delle indagini di ascolto rendendole di fatto forvianti.

Nulla di male

Cominciamo da luglio, quando in risposta a numerosi articoli apparsi sulla stampa specializzata, un utente ha affermato di non vedere nulla di male se le emittenti inviano a rispondere ai questionari TER indicando la stessa radio come radio ascoltata

L’utente ha fatto notare come da anni, in concomitanza con le rilevazioni di ascolto, molte emittenti realizzino massicce e costose campagne pubblicitarie su vari mezzi (tv, manifesti, ecc.) senza che ciò abbia mai creato scandalo. Per cui, a suo avviso, anche invitare alla risposta durante le trasmissioni dovrebbe essere considerato un normale tentativo promozionale, non un illecito.

Tra i coloro che hanno commentato, molti hanno criticato il “pianto greco” di certe emittenti che invitano spudoratamente al voto.

TER dovrebbe ringraziare

Successivamente, in un post differente, un utente ha sostenuto che le radio hanno tutto il diritto di invitare gli ascoltatori a rispondere al telefono per le indagini d’ascolto, visto che pagano questo servizio circa 700 euro a provincia. Ha aggiunto che TER dovrebbe ringraziare le radio per questo, considerando che aiuta a capire realmente quanto il mezzo radiofonico venga ascoltato e apprezzato.

Nei commenti, un altro utente ha chiesto se chi non paga per il servizio non viene incluso nella ricerca, ottenendo la conferma che ovviamente solo chi paga viene rilevato.

C’è chi ha ammesso che il concetto di invitare gli ascoltatori a rispondere può avere senso, ma è diventata un’abitudine artisticamente indigesta soprattutto tra le radio nazionali e superstation, al punto di definirla “Un po’ na cafonata“.

È stato poi linkata nel gruppo un’intervista a Renato Mannheimer (questa), che sosteneva la probabile irrilevanza della pratica a fini statistici.  La sua opinione sarà però contraddetta da un’osservazione apparsa in una successiva intervista, come vedremo.

Un altro iscritto ha affermato con decisione che le radio hanno pieno diritto di autopromuoversi in un Paese democratico, con un altro utente d’accordo con lui e questo nonostante nei commenti venisse fatto notare che la pratica è sanzionata in Francia in quanto ritenuta turbativa di mercato.

Infine, un utente ha ricordato che già 30 anni fa c’erano dubbi sul meccanismo delle indagini d’ascolto radiofoniche.

Più di 60 anni? Troppo anziano

Un lettore ha poi segnalato una situazione ritenuta inaccettabile: volendo rispondere alla chiamata TER indicando la sua emittente preferita, gli è stato impedito di farlo  in quanto in una fascia di età non compatibile. Un utente ha dato una spiegazione chiara e a nostro parere plausibile, che riportiamo testualmente: “È normalissimo che l’ascoltatore sessantenne sia stato rimbalzato: evidentemente il campione dei sessantenni, per quell’area geografica, in quella wave, era già stato raggiunto. Non è un’elezione a suffragio universale. È un’indagine a campione.”

Sarebbe probabilmente opportuno che – se questo è il caso – la cosa venga spiegata al mancato intervistando, in modo da non lasciarlo deluso (magari pensando anche che gli sia stato dato dell’anziano).


Risposta analitica

Siamo a Ottobre e arriva su Newslinet una spiegazione analitica, a cura di una professionista del settore che opera presso la ASTAT di Bolzano.

Nell’intervista è presente una dimostrazione numerica del fatto che l’autopromozione inficia il risultato delle indagini di ascolto.

Questo ente, che effettua una ricerca puntuale sul territorio della Provincia autonoma di Bolzano, affianca al metodo CATI il CAWI e nell’articolo, oltre ad affermare che CATI è intrinsecamente inaffidabile, fornisce la dimostrazione, affermando implicitamente che in determinati casi questa pratica può far quasi raddoppiare il risultato della rilevazione di una emittente.

FM-World: Dashboard monitoring emittente

Pochi in questo caso i commenti: probabilmente davanti a prove numeriche (e definizioni ostili quali “‘l’errore standard di una misura è definito come la stima della deviazione standard di uno stimatore“) solo un lettore affezionato e particolarmente “opinionato” ha ritenuto di intervenire, affermando che ASTAT ha “tirato fuori una discreta mina su quanto accaduto negli ultimi anni riguardo alle indagini d’ascolto” e concludendo in modo tranchant che  “Per me (il sistema ideale è)  Cati+Cawi e Diari, chi vuole il Meter se lo paghi e continui a non confrontarsi col mercato”, non mancando di concludere che “L’Italia è sempre stata in ritardo e da 20 anni si è chiusa in una sterile autarchia culturale“. (M.H.B. per FM-World)

Oltre le ore di ascolto cumulate: Netflix introduce una metrica quasi simile al “numero di telespettatori”

Servizio a cura di Marco Barsotti

Breaking news nel mondo dell’On-Demand. Netflix, che da sempre ha riportato i dati di ascolto dei propri show sulla base delle “ore cumulate di ascolto” fa un passo verso una metric più familiare (e forse omogenea agli altri broadcaster), introducendo le…”Ore di visione diviso per il totale del run time”. 

View Count

Un indicatore che Hollywood Reporter definisce “view count”, contatore delle visualizzazioni. 
Certo, non si tratta di “telespettatori” o del curioso termine scelto da Tvblog: gli “ascolti” televisivi.

Ma è pur vero che siamo tutti abituati da decenni a leggere che “Sherlock Holmes ha registrato ieri un netto di 753.000 telespettatori, share 5.3%” e il dato tradizionalmente fornito da Netflix, “Manifest stagione 4 ha registrato 42 miliioni e 900 mila ore viste” era troppo astratto per permettere un paragone.  

Certo, la società aveva in passato spiegato il razionale di questa scelta, che tiene ad esempio in conto del fatto che a taluni titoli cult vengono spesso visti numerose volte.

Difficoltà di contestualizzazione

Ma oggi, in un post che inizia con “We heard feedback that only providing hours viewed on our Top 10 lists was hard to contextualize” (abbiamo recepito i vostri messaggi sulla difficoltà di “contestualizzare” la nostra classifica di ascolto) il gigante dell’OTT fa appunto un passo avanti.

Semplici divisioni

Cosi’ Netflix spiega la scelta: 

Il numero di ore viste diviso per la durata si è dimostrata una metrica più facilmente comprensibile per molte persone, quindi a partire da oggi, mentre continueremo a mostrare le ore di visualizzazione per titolo, le nostre classifiche Top 10 saranno ora ordinate per visualizzazioni. Estenderemo anche il periodo di qualificazione per le nostre liste più popolari da circa un mese (28 giorni) a tre mesi (91 giorni) dato che molti dei nostri show e film crescono significativamente nel tempo”. 

 Nessuna metrica è perfetta

“Come abbiamo sempre detto” – afferma la società -, “non esiste una metrica di streaming perfetta. Ma riteniamo che le visualizzazioni combinate con il totale delle ore di visualizzazione siano un’evoluzione positiva perché: 

  • È ancorata al coinvolgimento – la nostra migliore misura della soddisfazione dei membri e un fattore chiave di fidelizzazione (che a sua volta guida il nostro business); 
  • Garantisce che i titoli più lunghi non abbiano un vantaggio; e 
  • Consente ai terzi di confrontare l’impatto relativo di film e serie – nonostante la diversa durata. 

Questi cambiamenti forniscono una panoramica più completa di ciò che gli spettatori Netflix preferiscono in tutto il mondo e consentono paragoni più equi tra film e programmi tv di lunghezza diversa. “

Più spettatori che abbonati

Ecco, dunque, che scopriamo come The Queen’s Gambit figuri nell’elenco dei 10 titoli “più visti” di tutti i tempi, mentre – e questo ci pare notevole – Squid Games e Wednesday hanno entrambi visto un numero di telespettatori superiore al numero di abbonati a livello mondiale. 

Un dato difficilmente eguagliabile dalle nostre reti tradizionali, che difficilmente potranno mai annunciare un numero di telespettatori superiore ai 59 milioni. (M.H.B. per FM-World)