Fabio Donolato è conduttore di Radio Nerazzura, giornalista freelance e autore di progetti podcast.
Da questa settimana, pubblicheremo periodicamente alcuni suoi editoriali, relativi ai settori di sua pertinenza.
Cominciamo da quello dei podcast.
“Quale sarà il futuro di tutti i podcast nati dal coronavirus?”
Cerchiamo di capire che fine faranno tutti quei progetti avviati durante il lockdown che ora rischiano di sprofondare negli hard disk di migliaia di italiani che, una volta ricominciata la vita di sempre, non hanno tempo e voglia di proseguire nel loro intento.
Durante il periodo del lockdown, il movimento del podcast italiano ha registrato un incremento e una crescita senza pari nella storia del nostro Paese. Sarà perché il tempo a disposizione per ascoltare e realizzare podcast è stato sicuramente maggiore rispetto al solito, sarà anche perché ormai la tecnologia ci permette di confezionare questo tipo di prodotto in maniera più semplice e con un risultato tutto sommato passabile senza grandi sforzi tecnici. Sarà, ma la domanda che mi faccio è la seguente: “qual è il livello qualitativo dei podcast nati e cresciuti durante il lockdown? E soprattutto: quale sarà il loro futuro?”.
Parlo da addetto ai lavori, ma anche da appassionato del genere e del movimento. Sono ben contento che ci si sia avvicinati a questo prodotto che, quando realizzato con metodo e con le conoscenze necessarie, può diventare uno strumento per la divulgazione, un modo per approfondire determinati argomenti, ma anche semplicemente un modo per tramandare racconti che una volta venivano passati di generazione in generazione solo oralmente.
Per fare un’analisi un po’ più approfondita sul tema, partiamo da un caso positivo e che può da scuola per gli appassionati del genere che abbiano voglia e interesse a lanciarsi nel mondo podcast: “Veleno” di Pablo Trincia. Un esempio di come fare giornalismo utilizzando al massimo le potenzialità di uno strumento come il podcast, diventato negli anni di facilissimo consumo grazie agli smartphone ma – soprattutto – grazie alle tariffe telefoniche che permettono di usufruire di svariate decine di giga di traffico internet mensile da spendere per ascoltare musica e podcast in mobilità.
Torniamo a Veleno: l’inchiesta del giornalista Pablo Trincia, pubblicata come podcast sul sito Repubblica.it, è un prodotto ben fatto e appassionante, diviso per episodi, scritto ottimamente e ricco di contenuti esterni, dichiarazioni, documenti ufficiali, parti di testimonianze originali riguardanti una torbida vicenda avvenuta alla fine degli anni ’90 nella bassa padana dove alcuni bambini furono tolti alle famiglie perché coinvolti dai genitori stessi in riti satanici in cimiteri più o meno abbandonati. Non vi voglio spoilerare la storia, ma tanti di voi già la conosceranno e la utilizzo solo per dimostrare che un podcast, se fatto bene, con un lavoro paziente durato anni e – cosa non da poco – supportata da un sostegno editoriale ed economico può diventare davvero uno strumento potentissimo per raccontare storie.
Che cosa è successo durante il lockdown? Che tanti appassionati di radiofonia si sono buttati a capofitto sul mondo dei podcast da “isolamento casalingo” trattando gli argomenti più disparati: gli appassionati di sport, per fare un esempio, annoiati dallo stop di tutte le manifestazioni, sono andati a scavare nel baule dei ricordi e hanno tirato fuori riflessioni personali, analisi postume, ricorsi storici che adesso hanno trovato casa nei server di qualche provider sparso nel globo. Altri, invece, hanno dedicato questo tempo a registrare interviste con esperti (i più quotati, ça va sans dire, gli scienziati, i virologi, gli amici che avevano il sogno di diventare medici ma si sono fermati al test di ammissione) di qualsiasi materia, pur di riempire il vuoto delle nostre vite nella fase dell’isolamento forzato.
Tutto molto bello: sono contento che anche da noi in Italia qualcosa si stia muovendo dal punto di vista dei podcast, ma adesso di tutti questi progetti appassionati, che ne sarà? Dovessero rimanere chiusi in tanti piccoli hard disk sarebbe davvero un peccato. Non facciamo morire questi podcast, perché sono una testimonianza di un periodo che mai ci eravamo trovati a vivere nella nostra esistenza. Una traccia del nostro passaggio su questo pianeta, come le storie che ci raccontavano i nostri nonni, adesso noi possiamo fare lo stesso con i nostri nipoti e mantenere viva la memoria ricordando a tutti che, anche in clausura, la creatività non si è mai spenta. Anzi: è diventata podcast.
Fabio Donolato
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