
Cinquant’anni di radio private: gli esordi in via Locatelli di Radio Milano International
Cominciamo con questo articolo la pubblicazione scritta di una serie di interviste che raccontano dalla voce dei veri protagonisti quanto accadde mezzo secolo fa nella “Milano in FM”.
Si parte da una registrazione del 14 marzo 1975 e da un’intervista a Rino Borra a cura di Edo Bacci del canale Milano in FM Seventies-Eighties (https://www.youtube.com/@milanoinfm/videos).
Iniziò tutto lì
FM-world, questo sito. Le radio private, tutte. Le TV commerciali, anche loro. Le società che costruivano antenne e trasmettitori, e poi registi, conduttori, perfino i consulenti: tutte realtà rese possibile dal coraggio e dall’incoscienza dei rampolli di due famiglie milanesi di nome Cozzi e Borra.
Qualcuno dice che se non lo avessero fatto loro lo avrebbero fatto altri. E non mancano gli innumerevoli post di coloro che ci informano che in realtà la prima stazione – a parte quella di Parma sui 102.0 – sarebbe stata in una certa valle. O forse al Centro-Sud.
Sarà pure vero: ma noi, che per qualche strana ragione avevamo la passione di andare su e giù con la sintonia, a parte i tre canali RAI ripetuti quattro volte, una certa Radio Monte Ceneri e le meravigliose “Trasmissioni sperimentali in Radiostereofonia” pare proprio che prima del 10 marzo 1975 sull’FM non ci fosse nulla.
E poi: ok Parma, di cui parleremo approfonditamente nel prossimo articolo. Ok la valle (di cui non abbiamo informazioni). Ma probabilmente solo una stazione che partiva dal centro di Milano, da un quasi grattacielo, poteva essere considerata una minaccia abbastanza seria (alla democrazia, scriveva addirittura qualcuno) da meritarsi un sequestro e la conseguenza sentenza che ha fatto poi trovare il coraggio a tutti gli altri.
Il dieci marzo di cinquanta anni fa nasceva dunque RMI, Radio Milano International, sui 100.88 megacicli.
Come celebrare?
FM-world non poteva non celebrare questa ricorrenza. Il problema è: come?
Inutile su queste pagine raccontarne tutta la storia, che è stata detta e ridetta in decine di blog-post e ultimamente anche in un numero imprecisato di libri rievocativi.
L’ideale sarebbe poter riproporre le trasmissioni dei primissimi tempi, sull’esempio dell’incredibile lavoro fatto dalla comunità degli ascoltatori di Luxy, Radio Luxembourg 208 metri (qui: https://rtlgreat208.wordpress.com/).
14 marzo 1975, registrazione originale
Ma – ahinoi – oltre alla nostra cassettina registrata il 14 marzo 1975 (cancellando Little Tony da un nastro dimostrativo Philips) – e che è possibile ascoltare qui: https://youtu.be/HlNr78qhco0?si=HNlt4o8YNYAPqvZQ – non abbiamo trovato granché.
Abbiamo pertanto deciso di fare come segue. D’accordo con il direttore Franceschini e con il creatore del canale “Milano in FM *Seventies-Eighties*” riportiamo in una serie di articoli le interviste con uno dei fondatori e con chi queste emittenti le ha rese possibili. Essendo testimonianze dirette – e non articoli basati su altri articoli – sono senza dubbio più interessanti. E se potessimo riportare tutte, ma proprio tutte le parole pronunciate sarebbero anche esilaranti.
Ma cominciamo con l’intervista a Rino Borra, senza dubbio il più scanzonato e divertente dei primi conduttori di RMI. Abbiamo scelto di non editare le risposte di Rino, lasciando intatte le ripetizioni e qualche salto logico perchè… perchè Rino lo ricordiamo così anche in onda, anche nel 1975.
L’intervista, a cura di Edo Bacci
D: Siamo al 10 marzo 1975, è un lunedì e intorno alle ore 15.00 Piero Cozzi dice le prime parole al microfono di Radio Milano International… Che ricordi hai dei giorni immediatamente precedenti e anche delle ore precedenti all’inizio delle trasmissioni di quel mitico 10 marzo?
R: Eravamo comunque giovani, quindi stavamo sempre insieme perché sia Nino che Piero erano miei coetanei, qualche anno più o meno. Quindi stavamo insieme, durante il giorno fantasticavamo di fare cose eccezionali, quindi abbiamo preparato tutto e dopo è un po’ di pensieri: “Ma no, ma sì”. I genitori di Piero e di Francesca dicevano “State attenti perché non è una roba proprio legale”. Va bene, insomma, dopo tante esitazioni abbiamo deciso di farlo: “Vediamo cosa viene fuori, tanto non è che ammazziamo gente”. E comunque volevamo provare a dare un calcio nel sedere al cane che dormiva, cioè all’Escopost, che forse ci avrebbe chiuso e vedere cosa succedeva
Cento morti all’anno
Riprendiamo la linea dalla redazione per sottolineare quest’ultima frase. Molti non lo sanno, altri lo hanno scordato: ma nella Milano degli anni ’70 (detti “di piombo”) si contavano nella metropoli anche cento morti ammazzati all’anno, tra bande criminali e violenza politica. Quindi, sì, era lecito ipotizzare che lo Stato avrebbe avuto di meglio da pensare che non intralciare una iniziativa di privati. Ipotesi errata, come sappiamo. Ma torniamo a Rino.
Un mixer comprato alla GBC
D: Dunque, sia voi che Radio Parma disponevate dello stesso trasmettitore fornito da Marco Toni. Come mai avete fatto partire prima loro, essendo già in possesso dei mezzi tecnici per poter trasmettere?
R: Diciamo che Marco ha fatto partire per prima Radio Parma sui 102.0. E quando è stato disponibile un trasmettitore su 101.0 siamo partiti noi (impossibile usare i 102.0 a Milano, proprio per i citati programmi sperimentali in radiostereofonia N.d.R.).
D: Il primo quartier generale di Radio Milano International è stato l’appartamento, grandissimo tra l’altro, della famiglia Cozzi, che era al nono piano di Via Locatelli 1. Mentre voi Borra, invece, abitavate in Via Rosellini, che a volte ho visto nominata come sede di RMI, ma allora cosa c’era a casa vostra praticamente all’inizio?
R: Via Locatelli era la casa della mamma e del papà di Francesca Cozzi, che era la moglie di mio fratello. Via Rosellini era la casa dove abitavano Francesca e mio fratello. Allora, in Via Rosellini noi registravamo le trasmissioni e in Via Locatelli, dato che il palazzo di Via Locatelli è il primo grattacielo di Milano, nel senso di come è costruito, ed era molto alto e, dato che comunque l’FM è una propagazione ottica, se hai un ostacolo non lo salta: o sei più alto oppure quello dopo non sente.
Allora per trasmettere a Milano andava bene via Locatelli, quindi abbiamo montato l’antenna sul tetto del grattacielo di Via Locatelli, tirando il cavo fino dal nono piano, e nella stanza da letto di Piero abbiamo montato il registratore con il trasmettitore. In Via Rosellini registravamo con un registratore a cassette e usavamo un mixer che era stato comprato alla G.B.C., con due piatti che erano due Lenco, mi sembra. Niente di complicato, su un tavolo in una stanza mezza vuota con un divano, una televisione, dove ci sono delle foto molto iconiche di quei primissimi giorni.
Quindi c’è il letto in un angolo, in un altro angolo appoggiato su un semplice tavolino ci sono dei dischi e c’è il mixer e ci sono i due piatti.
Fake news, versione 1975 e 2015
D: Smentiamo ufficialmente la leggenda metropolitana che i primi tempi trasmettevate da un furgoncino sempre in movimento nelle vie di Milano per evitare di essere intercettati dall’Escopost.
R: A parte che tecnicamente non è possibile. Il problema era venuto fuori perché all’inizio, dopo un po’ di tempo, credo dopo i primi tre o quattro mesi, quando poi la notizia si è diffusa, ci cercavano tutti per sapere perché e come mai ci era venuta questa idea.
Quindi mi ricordo un articolo de La Notte, Il giornale che usciva al pomeriggio, “La Notte”. E La Notte aveva pubblicato questa notizia dove, appunto, per essere pirati correvamo per i mari di Milano. Tra l’altro questa notizia, falsa, del pulmino è stata pubblicata anche in occasione del 40esimo compleanno di Radio Milano International nel 2015, in un articolo addirittura del Corriere della Sera, alla faccia del buon giornalismo.
Ma sai, è una bella immagine, quindi è stata raccontata così e poi chi scrive, generalmente….o perlomeno chi scriveva… aveva mandato la notizia senza avere cognizioni tecniche, quindi è concepibile che abbiano scritto così, ed è una cosa quasi romantica.
D: Immagino che non avevate la minima idea della grandezza di quello che stavate innescando…
R: No, assolutamente. Era un divertimento goliardico tra ragazzi ventenni, perché io avevo 22 anni, Nino ne aveva 23 e Piero ne aveva 20. Quindi era un’avventura, non so, come quando Colombo ha scoperto l’America: tu parti ma non sai dove vai. Ma neanche pensavamo di fare cose così.
Oddio, una mezza idea io e Angelo ce l’avevamo perché avevamo le manie da radioamatori, ascoltavamo le radio che venivano dall’estero. Cioè, una passione di Angelo, che aveva 14 anni più di me – in pratica io ero un bambino quando lui cominciava. Benché la sua fosse molto più decisa rispetto alla mia. Stavo con lui, però ho imparato.
Explosion
D: Cosa ricordi delle tue prime trasmissioni? Ci sono programmi con titoli improbabili come Non troppo, un po’ meno ma quasi, oppure altisonanti come Electric Sound Explosion, insomma vera e propria sperimentazione in onda.
R: Senti, i titoli venivano così come ci venivano, perché non c’era nessuno che ci metteva limiti. Mica c’era la gente che pensava di fare grandi questioni di marketing o cose del genere. Come ci piaceva! Quindi i nomi, sì, erano nomi che ci venivano in mente mentre magari stavamo facendo colazione alla mattina, quelle cose che ci venivano in mente senza nessun pensiero recondito:
“Mettiamo questo perché mi ricorda questo”. Come ci veniva e ci piaceva, dato che comunque le decisioni le prendevamo in tre, non era una grande complicazione.
Ottocentomila ascoltatori
D: Ma nelle prime settimane e nei primi mesi avevate il polso della situazione di quanto vi ascoltavano? Avevate feedback? E poi, una curiosità mia, quando avete messo il primo numero telefonico a disposizione degli ascoltatori?
R: Dunque, non avevamo assolutamente nessuna opinione di chi ci ascoltava nei primi tempi. Diciamo che le prime opinioni, o perlomeno le prime conoscenze di quello che succedeva, sono avvenute dopo 4-5 mesi.
D: Il telefono, invece, quando l’avete messo per la prima volta?
R: Il telefono, che poi era il telefono di casa, è stato il telefono dei genitori Cozzi. E poi dopo, nel tempo, abbiamo preso anche i nostri numeri, ma comunque in origine il telefono era il telefono di casa. Ci chiamavano di notte, perché trasmettevamo 24 ore su 24, poi di notte c’era gente che ci veniva a trovare, gli ascoltatori accaniti, da Cesano, da Sesto. Magari passavano i panettieri, ci portavano le pizze; passavano quelli che portavano i giornali, ci suonavano il campanello e ci davano i giornali.
Molti ti venivano a prendere per andare a mangiare a casa loro, a farti conoscere i genitori. Cioè, delle cose incredibili che a raccontarle oggi sembrano cose al di fuori della realtà.
Trasmettitori e camicie
D: I primi giorni trasmettete solamente tre ore, dalle 15 alle 18. Poi ne aggiungete un’altra fino alle 19 e piano piano arrivate alle 24 ore di diretta, quindi alla non stop music che era diventato il vostro claim.
R: Sì. Allora, i primi tempi tre ore, perché appunto le tre ore erano più semplici da registrare. Le 24 ore sono arrivate dopo un anno, prima di tutto perché non si poteva stare in onda 24 ore su 24, visto che eravamo in tre. Perché poi facevamo come al militare, quando facevi le guardie: dato che, in fianco alla stanza da letto di Piero, c’era la stanza di Nino, poi lui dormiva sul letto nella trasmissione, io dormivo col trasmettitore in fianco, perché dato che il palazzo è un quadrato con il cortile in centro – voglio dire, il buco del palazzo è quadrato ma in centro è vuoto…
…l’antenna veniva giù dal tetto e veniva dall’interno del palazzo ed entrava dalla finestra dove avevo io la camera da letto.
Il trasmettitore era in fianco a me, sul mobile a cassettiera dove c’erano le camicie, perché era un trasmettitore da 20 per 40 per 40, insomma, non era una roba enorme.
D: Ti aveva adottato la famiglia Cozzi praticamente?
R: Sì, no, ma vivevamo lì perché tanto, ormai essendo imparentati – eravamo parenti – dormivamo alla militare nella sala. Ma poi l’appartamento era talmente grande che non ci si incontrava neanche, quindi noi stavamo in un’ala e gli altri in un’altra.
Arrivano i rinforzi
D: Inizialmente lo staff dei disc jockey di Radio Milano International è composto da te, Piero e Nino. Poi arriva Pino Beccaria, che è stato il vostro primo giornalista, Beppe Farra, Claudio Cecchetto, Fausto Terenzi e ne potrei nominare a decine, e la radio comincia a popolarsi sempre di più.
R: Sì, perché poi, passati i primi periodi, la cosa si era fatta totalmente importante, che la gente veniva e si proponeva.
Claudio lo siamo andati a prendere da Marco (crediamo intenda il negozio di libri, riviste e dischi di San Babila, N.d.R.); Fausto, invece, lo siamo andati a prendere in un locale, una discoteca, al Fitzgerald: si scendeva sotto la scala, si ballava anche il pomeriggio una volta – non sono cose che si fanno più, ma una volta si ballava anche il pomeriggio, il sabato e la domenica. Fausto faceva il DJ e quindi lo siamo andati a prendere lì. Anche la scelta di chi andava in onda, ok, una volta non c’erano tutti i problemi di oggi. Se uno era bravo…
D: E infatti, ti volevo chiedere: qual era il vostro concetto di “bravo” nel ’75?
R: E allora, “bravo” era uno che sapeva il minimo sindacale: cioè, era uno che sapeva dialogare e parlare, aveva un minimo di pratica dell’italiano e magari anche di qualche altra lingua, che conoscesse un minimo di musica. Perché una volta chi andava in onda suonava i dischi che prendeva lui, ti ritiravi il foglio d’archivio e li mettevi in sequenza secondo il tuo umore e la tua volontà. Nessuno diceva “non mettere quello, non mettere quell’altro”. Cioè: “Suona della bella musica e chiuso l’argomento”. (Marco H. Barsotti e Edo Bacci per FM-world)