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È un Claudio Cecchetto senza freni, quello che si racconta al Messaggero.
In una intervista realizzata da Maria Elena Barnabi e ripresa da Dagospia, racconta la sua carriera ed i suoi progetti futuri.
Il più imminente è il "Cecchetto Festival" che si terrà in concomitanza del Festival di Sanremo, ma esclusivamente online.
La parte più 'pungente' si fa sentire quando l'argomento è Radio Deejay, emittente che ha fondato nel 1982 e lasciato nel 1994, forse anche oggi un nervo scoperto.
"Quando c'ero io Deejay era la radio numero uno in Italia", dichiara. "Ora è terza, a due milioni di ascoltatori dalla prima e un po' ci rimango male".
Due anni dopo il suo addio, Cecchetto vendette anche Radio Capital. E l'acquirente era sempre lo stesso: il gruppo L'Espresso.
"Una settimana prima di firmare l'accordo" - sottolinea - "si fece avanti il Corriere. Ma non avevano abbastanza soldi. Non dico quanto, ma monetizzai molto di più con Capital che con Deejay".
E la radio di oggi e di domani? "I giovani sono abituati a guardare le immagini. Come dice il mio amico Lorenzo Suraci di RTL 102.5, il futuro è la radiovisione. Certo finché ci sposteremo in auto" - specifica Cecchetto - "la radio potrà sopravvivere così come è oggi, solo ascoltata. Ma ormai non è più rivoluzionaria. È diventata una cosa seria, una cosa con cui fare soldi. E poi è rimasta in mano alle persone che l'hanno inventata tanti anni fa. Tutti sessantenni. Io a un certo punto il microfono l'ho mollato, questi no".
L'intervista si conclude con una dichiarazione che spiega chiaramente l'opinione di Claudio Cecchetto sul mezzo: "La radio si fa per passione. Chi sono io per dire che gli altri devono rinunciare alle proprie passioni? Io non lo faccio".
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